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mercoledì 26 ottobre 2011

E’ un’emergenza: la Banca del Germoplasma di Bari è ad altissimo rischio!

Banca del Germoplasma di Bari La Banca del Germoplasma del CNR di Bari, fondata nel 1970, si trova in una condizione di altissimo rischio. È l’unica in Italia, la seconda in Europa e tra le prime dieci nel mondo su un totale di 1470. Conserva 84.000 accessioni (campioni) di germoplasma, appartenenti a più di 60 generi e più di 600 specie di piante coltivate e specie selvatiche affini (parenti strette di quelle coltivate), minacciate da erosione genetica e/o estinzione. Lo scopo di questa lettera è di evidenziare l’importanza del germoplasma per l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente, e conseguentemente di far comprendere perché sono nate le banche del germoplasma, perché la Banca del Germoplasma di Bari è ad altissimo rischio e perché bisogna intervenire per salvarla.
Germoplasma, rivoluzione verde, sistemi agricoli e perdita di agrobiodiversità Il germoplasma vegetale conservato nelle banche di germoplasma è costituito principalmente da semi di vecchie varietà di cereali, leguminose, ortive, foraggiere e piante medicinali. Questo patrimonio genetico è stato reperito in tutto il mondo, principalmente nei Centri di Origine delle piante coltivate (aree geografiche dove le piante coltivate sono state addomesticate per la prima volta) perché minacciato da erosione genetica e/o estinzione. Le vecchie varietà, in realtà, sono  delle popolazioni (insieme di individui geneticamente diversi appartenenti alla stessa specie), ritenute non molto produttive, ma caratterizzate da una base genetica larga, che a partire dalla Rivoluzione Verde (anni Quaranta e Cinquanta) sono state sostituite da varietà moderne (costituite da individui geneticamente molto simili), ritenute più produttive, ma caratterizzate da una base genetica molto ristretta e concepite per sistemi agricoli industriali, ad alto impatto ambientale e/o alto input energetico (arature profonde ed uso eccessivo di fertilizzanti chimici, antiparassitari, erbicidi, irrigazioni, ormoni ed altri inquinanti, uso della monocoltura, ecc.). Con la Rivoluzione Verde i sistemi agricoli industriali hanno incominciato a prevalere su quelli tradizionali, oggi ribattezzati sistemi ecocompatibili o sostenibili ed a basso impatto ambientale e/o basso input energetico (arature poco profonde, uso moderato di irrigazioni, ricorso a fertilizzanti naturali, lotta biologica ai parassiti delle piante e controllo delle malerbe con metodi naturali, uso di prodotti poco o non inquinanti, pratica della policoltura, ecc.). La Rivoluzione Verde ha spazzato via una miriade di vecchie varietà sostituendole con poche varietà moderne, determinando una notevole perdita di agrobiodiversità. Si calcola che, specialmente nei Paesi più interessati dalla Rivoluzione Verde, sono scomparse per sempre dal 60 al 90% delle vecchie varietà delle piante agrarie più comuni.
L’agricoltura biologica produce quanto se non di più dell’agricoltura industriale È ormai noto che produrre di più con i sistemi agricoli industriali non significa affatto realizzare un reddito più alto. Produrre di più può anche costare ed inquinare di più. Ma è vero che serve produrre di più? Il problema della fame nel mondo (con’è noto) è più un problema di distribuzione del cibo e della ricchezza che un problema di quantità di alimenti. Inoltre, recenti studi di gruppi di ricerca internazionali, confermati dalla FAO, mostrano che le aziende agricole che adottano sistemi a basso impatto ambientale, come l’agricoltura biologica, producono quanto se non di più delle aziende agricole che adottano sistemi ad alto impatto ambientale. Pertanto, quando si afferma che la Rivoluzione Verde era l’unico modo per aumentare le rese (produzioni per ettaro) e quindi l’unico modo per evitare ulteriori disboscamenti si dicono delle grandi bugie. Le produzioni per ettaro possono essere aumentate anche con tecniche agricole a basso impatto ambientale. È un fatto ormai incontestabile. Eppure, c’è ancora chi si ostina a voler difendere la Rivoluzione Verde, enfatizzando l’incremento delle produzioni agricole ottenuto. Non è nemmeno vero che con la Rivoluzione Verde sono diminuiti disboscamento e deforestazione. L’incremento nel mondo della deforestazione, della perdita di biodiversità e della monocoltura, alimentato dalle multinazionali, con la collaborazione di cattivi governi e gruppi di ricerca che ricevono finanziamenti, è un fenomeno abbastanza noto e di cui se ne parla sempre e molto, anche se si fa ben poco per ridurlo o bloccarlo completamente. Una cosa è certa: il futuro appartiene a forme di agricoltura biologica a basso impatto ambientale.
Selezione, domesticazione, serbatoio di risorse genetiche, banche di germoplasma Gli agricoltori, per millenni, dall’origine dell’agricoltura (10.000 anni fa), attraverso la selezione (evoluzione sotto domesticazione), hanno creato migliaia di varietà adatte a sistemi agricoli a  basso impatto ambientale, hanno cioè aumentato l’agrobiodiversità e creato un serbatoio di risorse genetiche vegetali che, come già detto, la Rivoluzione Verde ha drasticamente impoverito e che senza le attività di salvaguardia delle banche di germoplasma sarebbe stato completamente eroso.

La Rivoluzione Verde, responsabile dello sviluppo di sistemi agricoli industriali ad alto impatto ambientale e basati sulle monocolture (coltivazione di un’unica specie ed un’unica varietà di piante su grandi estensioni) e l’uso di varietà molto omogenee, rappresenta una minaccia continua alla biodiversità, sia di quella conservata ex situ (nelle banche di germoplasma) sia di quella conservata in situ (aree di origine). È per questo che quasi tutte le banche di germoplasma sono state fondate negli anni Sessanta e Settanta, cioè subito dopo che organismi internazionali, come la FAO, e studiosi di tutto il mondo, incominciarono a notare e denunciare l’alta erosione genetica determinata dalla Rivoluzione Verde. Infatti, all’epoca, gli studiosi evidenziarono un terribile paradosso: da un lato i breeders (miglioratori di piante agrarie) per creare nuove varietà avevano (ed hanno) bisogno di diversità genetica (fonte di geni) e dall’altro la coltivazione delle loro varietà, caratterizzate da una base genetica ristretta, determinavano (e determinano) erosione genetica (perdita di diversità genetica). Di qui la necessità di creare le banche di germoplasma.
Importanza delle risorse genetiche vegetali La variabilità o diversità genetica contenuta nelle vecchie varietà conservate nelle banche di germoplasma è una risorsa dal valore inestimabile, è la materia prima da cui partire per selezionare o costituire varietà adatte a sistemi agricoli ecocompatibili, resistenti alle malattie, avversità ambientali e cambiamenti climatici, inclusa la desertificazione, siccità o scarsità d’acqua, oggi un problema planetario. Questa diversità genetica, negli anni Cinquanta e Sessanta, cioè non appena si incominciò a notare che la Rivoluzione Verde causava perdita di agrobiodiversità, è stata in parte reperita e conservata nelle banche di germoplasma con il fine di poterla salvare da un’ulteriore erosione genetica o estinzione e di poterla utilizzare come materia prima necessaria a continuare l’incessante lavoro di miglioramento genetico delle piante agrarie. Oggi, si sta pensando di fare miglioramento genetico partecipato, cioè miglioramento genetico insieme agli agricoltori produttori e consumatori. Le banche di germoplasma ,ancor più di prima, dovrebbero poter partecipare, fornendo le risorse indispensabili a cogliere l’obiettivo.
Cosa sarebbe successo senza le banche di germoplasma Se, durante la Rivoluzione Verde, questa diversità genetica non fosse stata raccolta e preservata (conservata ex situ) nelle banche di germoplasma, si sarebbe persa per sempre ed oggi non potrebbe essere più reperita, perché non più presente nelle aree di origine. La Rivoluzione Verde avrebbe vanificato completamente il lavoro di millenni degli agricoltori. Le banche di germoplasma conservando una parte rappresentativa dell’agrobiodiversità, creata dagli agricoltori nel corso di millenni, hanno dato un notevole ed importante contributo alla riduzione della perdita della biodiversità delle principali piante agrarie, avvenuta principalmente nei paesi industrializzati e più interessati dal fenomeno della Rivoluzione Verde. La diversità è una risorsa per il futuro di tutti.
Arrivano gli OGM: un’altra minaccia alla biodiversità ed alle banche di germoplasma Le minacce alla biodiversità sono aumentate con l’avvento della Seconda Rivoluzione Verde (anniNovanta), cioè quella dell’ingegneria genetica o degli organismi transgenici o geneticamente modificati (OGM). La lobby delle multinazionali vede la diversità genetica in generale ed in modo particolare quella preservata nelle banche di germoplasma come un ostacolo alla diffusione e/o introduzione delle varietà di piante transgeniche. Varietà ancora più omogenee di quelle prodotte dalla prima Rivoluzione Verde e quindi per definizione ancora più vulnerabili alle malattie, ai cambiamenti climatici e meno adatte alla Policoltura e sistemi agricoli ecocompatibili.
Le banche di germoplasma nel mondo sono a rischio Tutto ciò spiega perché, in generale, le 1470 banche di germoplasma del Pianeta soffrono per mancanza di sostegno politico e scientifico, e quindi di finanziamenti necessari al mantenimento e valorizzazione della diversità genetica conservata nelle banche di germoplasma. Fanno eccezione 11 dei 15 centri del CGIAR (Gruppo Consultativo sulla Ricerca Agricola Internazionale) che sono delle vere e proprie banche di germoplasma (conservano ca. 650.000 accessioni di piante agrarie, foraggiere e forestali). Si tratta di centri internazionali finanziati da paesi sviluppati e pertanto privilegiati rispetto alle banche genetiche nazionali. Fa ancora eccezione la recentissima Banca del germoplasma di Svalbard (Svalbard Global Seed Vault, situata sull’isola norvegese di Spitsbergen, e ufficialmente aperta il 26 febbraio 2008), in quanto è finanziata, così si dice, dalle grandi compagnie. Questa banca ha chiesto o proposto ai diversi paesi detentori di risorse genetiche vegetali (in pratica ai paesi sedi di banche di germoplasma) di conservare un campione delle loro risorse nella banca di Svalbard (definita anche Arca dell’Agricoltura). È una delle altre trovate per continuare a drenare risorse da paesi meno sviluppati (ma ricchi di risorse) a paesi più sviluppati, già debitori (ecologicamente parlando) nei confronti dei paesi meno sviluppati. Ma è anche una strategia per trasferire il controllo del germoplasma di tutte le banche alle multinazionali.
Perché la Banca del Germoplasma di Bari è a rischio Nel 2002, la ristrutturazione del CNR (Decreto Legislativo 30 gennaio 1999, n. 19, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5 febbraio 1999), inopinatamente è stato messo a rischio il germoplasma della Banca di Bari. Grazie all’intervento dell’ex P.M. dott. Marco DINAPOLI della Procura della Repubblica di Bari, la Banca è sopravvissuta dal 2004 al 2009. L’ex P.M. aveva accertato, attraverso il suo Consulente Tecnico prof. Andrea FILIPPETTI, che le collezioni di germoplasma, come conseguenza di una cattiva gestione della Banca da parte del CNR, avevano subito un notevole danno, consistente in un significativo ed irreversibile abbassamento della germinabilità (vitalità) di un’alta percentuale dei semi, cioè nella morte di un elevato numero di semi di ciascun campione di tutte le collezioni e significativo invecchiamento precoce di molti semi rimasti vivi e ancora recuperabili attraverso una loro rigenerazione. Pertanto, nel decreto di dissequestro, del 26.10.2009, dell’ex P.M., la prescrizione più stringente è di provvedere immediatamente alla rigenerazione di tutte le collezioni, pena la morte di tutti i semi.
Le attuali autorità giudiziarie hanno ignorato le relazioni della Consulenza Tecnica Purtroppo, il nuovo P.M. dott. XX ed il suo GIP dott. YY hanno archiviato il procedimento penale per ipotesi di danneggiamento dei semi, istruito dall’ex P.M. dott. DINAPOLI. In pratica, il GIP YY su richiesta del Procuratore Aggiunto, XX, ha archiviato il suddetto procedimento concludendo che non c’è dolo (art. 635 del c.p.) e non c’è danno (art. 452 del c.p.), vanificando così il lavoro svolto dal Consulente Tecnico sull’all’accertamento del danno. Inoltre, revocando la custodia giudiziaria dei “campioni dei semi di riferimento”, cioè della prova del reato, ha tolto ogni possibilità a chiunque di confermare o di smentire i risultati della Consulenza Tecnica. Insomma, i semi stanno morendo, c’è un’emergenza, ma viene archiviato tutto ed eliminata la prova del delitto.
 
Bocciando, così, anche tutto il lavoro svolto dalla precedente autorità giudiziaria.
Far morire i semi delle banche di germoplasma non è un reato? In particolare, il GIP ed il P.M. per quanto riguarda il danno, sulla base dell’art. 452 del c.p., concludono che non si può parlare di danno perché il germoplasma non è equiparabile ad un prodotto medicinale. Pertanto, per queste autorità giudiziarie, se distruggessimo (con o senza dolo) tutti i semi di tutte le collezioni (oltre sei milioni di accessioni) di tutte le banche di germoplasma del Pianeta (1470) non commetteremmo alcun danno e quindi alcun reato.
Le autorità giudiziarie della Procura di Bari ignorano anche le leggi sul germoplasma Ciò significa, ancora, che la Legge 6 aprile 2004, n. 101 “Ratifica ed esecuzione del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura”, scaturita dalla Convenzione sulla Diversità Biologica del 1993, per le autorità giudiziarie di Bari sarebbe un optional. I miliardi pubblici investiti per creare le banche di germaplasma e gli stipendi pagati ai ricercatori e personale tecnico per il mantenimento e l’utilizzazione del germoplasma sarebbero stati spesi inutilmente. La Legge n. 101, invece, sottolinea l’importanza delle banche di germoplasma.
Una storia assurda, ma vera E’ una storia che è iniziata nel 1999, con la ristrutturazione del CNR, e realizzata nel 2002, con la fusione dell’Istituto del Germoplasma (Banca del Germoplasma) del CNR di Bari con altri quattro piccoli centri del CNR, di Portici (NA), Palermo, Firenze e Perugia, non interessati alla conservazione del germoplasma, ma all’ingegneria genetica e produzione di piante transgeniche.

Questa fusione, come già detto, scatenò ovviamente una serie di problemi alla Banca del Germoplasma. È nata così una storia che a fasi alterne e discontinue ha visto anche l’interessamento di politici, studiosi italiani e stranieri, inclusi alcuni organismi internazionali (FAO) e alcune associazioni di categoria. Purtroppo il loro interessamento è servito a nulla. Infatti, le battaglie non sono riuscite ad evitare la fusione e il risultato è stato che il 30.11.2009 la Banca del Germoplasma, dopo 5 anni di sequestro (dedicati alla riparazione e manutenzione straordinaria degli impianti del freddo delle camere di conservazione e accertamento del danno subito dalle collezioni di semi), con l’esecuzione del decreto di dissequestro dell’ex P.M. dott. Marco DINAPOLI, del 26.10.2009, è stata restituita al CNR, cioè a chi l’aveva messa a rischio. Non è una storia assurda?
La Regione Puglia e possibili percorsi per salvare la Banca del Germoplasma L’ex P.M., dott. Marco DINAPOLI, non poteva fare diversamente, cioè non poteva non restituire la Banca al CNR, in quanto nessuno, tranne il CNR, si è fatto avanti con una proposta di acquisizione della Banca. Nel 2009, prima del decreto di dissequestro, la Regione Puglia comunicò all’ex P.M. ed al Presidente del CNR la disponibilità a verificare insieme ad altre strutture presenti sul territorio possibili percorsi atti a garantire la piena funzionalità della Banca del Germoplasma di Bari. Ma, per il P.M., evidentemente, tale dichiarazione di intenti non era sufficiente ad evitare la restituzione della Banca al CNR.
Il CNR sta ignorando le prescrizioni Il decreto di dissequestro contiene numerose e stringenti prescrizioni, che il CNR sta ignorando. Tra l’altro l’ex P.M. sottolinea che “La gestione del germoplasma iure privatorum è oggi impensabile, alla luce dell’evoluzione della normativa internazionale, statale e regionale”, alludendo al Trattato Internazionale FAO, alla Legge italiana 6 aprile 2004, n. 101, al disegno di legge regionale sulla tutela delle risorse genetiche ed al fatto che la proprietà del germoplasma è di chi ha le capacità e la volontà di conservarlo e valorizzarlo. Quindi il germoplasma non è necessariamente di proprietà del CNR, vista la cattiva gestione e la messa a rischio. In altri termini, i semi, unici e rari, conservati nelle 1470 banche di germoplasma sparse nel mondo sono patrimonio dell’umanità.
Tavolo tecnico della Regione Puglia Purtroppo, il tavolo tecnico sulla problematica della Banca del Germoplasma, voluto dal Presidente della regione Puglia, Nichi VENDOLA, ed avviato nel 2008 dal suo Capo di Gabinetto Avv. Francesco MANNA, a causa dei numerosi impegni relativi alla chiusura e riapertura della legislatura del 2010 ha subito una battuta d’arresto. Di conseguenza, il disegno di legge regionale sulla tutela delle risorse genetiche non è stato tradotto in Legge e l’interesse della Regione per salvare la Banca del Germoplasma, attraverso un nuovo PROGETTO GERMOPLASMA, proposto dalla Regione, con il coinvolgimento di altre istituzioni locali interessate, non si è concretizzato.
Anche perché il CNR invece di presentare alla Regione proposte credibili in tal senso, ha chiesto solo fondi, ignorando così la volontà più volte manifestata dal Governatore Vendola.
L’archiviazione ha significato l’annullamento delle prescrizioni La conseguenza più grave del decreto di archiviazione, del GIP YY, non è tanto il fatto che non essendoci dolo la fa franca chi ha messo a rischio le risorse genetiche, ma il fatto che sono decadute le prescrizioni, tra cui, la più importante: l’immediata rigenerazione delle collezioni di germoplasma. L’archiviazione del procedimento ed il conseguente annullamento delle prescrizioni hanno vanificato, come già detto, tutte le attenzioni poste dalla precedente autorità giudiziaria ed il lavoro svolto dalla Consulenza Tecnica per accertare il danno subìto dalle collezioni di germoplasma sequestrate. Non solo, in pratica è come se l’attuale autorità giudiziaria avesse suggerito al CNR di stare tranquillo e di non preoccuparsi delle prescrizioni ed in particolare della rigenerazione del germoplasma che sta morendo.
A parte la questione materiale, scientifica ed economica c’è quella politica e morale Al di là del dolo, del danno subito dalle collezioni di germoplasma e delle leggi che sottolineano l’importanza per l’umanità delle risorse genetiche vegetali, conservate nella Banca del Germoplasma di Bari, come è possibile che l’autorità giudiziaria della Procura della Repubblica  presso il Tribunale di Bari non si sia posta minimamente il problema di salvare almeno i semi che non sono ancora morti? Cioè di salvare il salvabile? Che cosa succederà se i semi della Banca di Bari moriranno completamente? Come reagirà la collettività che nella Banca del Germoplasma ha investito tempo, energie e denaro? Chi verificherà se il CNR salverà i semi o li farà morire? È possibile che il destino dei semi della Banca di Bari non interessi alle istituzioni? Che cosa impedisce a queste d’intervenire?
Conclusioni Data l’importanza del germoplasma vegetale per l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente, e considerato che miliardi di semi di 84.000 campioni, provenienti da tutto il mondo, stanno morendo e che però si possono ancora salvare con un’immediata rigenerazione, la Regione Puglia e tutte le istituzioni pubbliche e private, direttamente ed indirettamente legate al settore agricolo, alimentare, ambientale, economico, sociale, nonché politico e morale, dovrebbero intervenire per salvare la Banca del Germoplasma di Bari.
Dottor Pietro PERRINO

Bari, 23 settembre 2010
Dott. Pietro PERRINO, Dirigente di Ricerca del CNR, già Direttore dell’Istituto del Germoplasma
del CNR di Bari. Indirizzo: Via S. F. Hahnemann, 2 – 70126 Bari (Italy)

Tel/fax: 0805484406; cell. 3391915903; e-mail:
pietro.perrino@igv.cnr.it