Bill Gates, Rockefeller e i giganti degli OGM sanno qualcosa che noi non sappiamo

di F. William Engdahl


Bill Gates si è fatto promotore di un progetto volto alla costruzione di una gigantesca banca dei semi a Svalbard, sul mare Barents, a circa 1,100 Km polo nord. Si tratta di un progetto del costo di diverse decine di milioni di dollari, e che vede come partners, tra gli altri, la Rockefeller Foundation, la Monsanto Corporation, la Syngenta Foundation e il governo della Norvegia. Il suo nome è “Svalbard Global Seed Vault” e ha la sua sede sull’isola di Spitsbergen, più esattamente nel villaggio di Longyearbyen, che fa parte dell’arcipelago di Svalbard.
Si tratta di una vera e propria fortezza, con porte a prova di esplosione, sensori di movimento e pareti rinforzate con l’acciaio spesse un metro. Al suo interno si arriverà a contenere oltre 4 milioni di varietà differenti di semi, provenienti da ogni angolo del globo. La motivazione ufficiale è quella di creare un centro che possa assicurare la salvaguardia della diversità delle sementi; ma, la cosa è sospetta, se si pensa che i finanziatori di tale iniziativa controllano già tali varietà, tramite banche dei semi che hanno già istituito in giro per il pianeta.


Diamo un’occhiata più approfondita ai soci di tale iniziativa:


la Bill & Melinda Gates Foundation;
la DuPont/Pioneer Hi-Bred, un gigante dell’agribusiness e una dei maggiori controllori di brevetti sui semi OGM al mondo;
la Syngenta, la multinazionale svizzera degli OGM e di prodotti agrochimici;
la Rockefeller Foundation, l’organizzazione privata che, stanziando oltre 100 milioni di dollari, ha dato vita, negli anni ’70, alla Rivoluzione Genetica;
la CGIAR, la rete globale, ideata dai Rockefeller per diffondere l’idea di purezza genetica, attraverso il cambiamento dei sistemi agricoli tradizionali.


Concentriamoci proprio su quest’ultima organizzazione, vedendone brevemente la storia. Nel 1960, la Rockefeller Foundation, il Consiglio per lo Sviluppo dell’Agricoltura di John D. Rockefeller III e la Ford Foundation unirono le loro risorse, per creare l’Istituto per la Ricerca sul Riso (IRRI), con sede a Los Baños, nelle Filippine. Operazioni simili furono portate avanti negli anni successivi, e nel 1971, l’IRRI, il Centro Internazionale per il Miglioramento del Grano e del Mais, e altre due strutture create insieme alla Ford Foundation, una specifica sull’agricoltura tropicale (ITTI) e una sul riso, si unirono per dar vita al Gruppo consultivo per le Ricerche Internazionali sull’Agricoltura, il CGIAR appunto. La sua struttura venne organizzata durante una serie di conferenze presso un centro della Rockefeller Foundation a Bellagio, in Italia.


Tra i partecipanti più importanti, si possono citare:


George Harrar, della Rockefeller Foundation;
Forrest Hill, della Ford Foundation;
Robert McNamara, della Banca Mondiale;
Maurice Strong, colui che si occupa delle iniziative sull’ambiente per la Rockefeller Foundation, e che, nel 1972 ha organizzato il Summit sulla Terra delle Nazioni Unite a Stoccolma.


L’idea alla base della CGIAR era quella di creare una rete di istituti e di organizzazioni sparsi per il mondo, in grado di mutare radicalmente i sistemi agricoli tradizionali, sostituendoli con l’agribusiness su scala globale. Questo venne realizzato attraverso la Rivoluzione Genetica e nascosto dietro le rassicuranti etichette dell’efficienza, della scienza e del libero mercato.
Oltre a strutturarsi in tale modo, i suoi esponenti andarono ad occupare ruoli chiave nell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e nel Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, nonché nella Banca Mondiale. Non bisogna, però, commettere l’errore di pensare che non ci sia altro dietro; infatti, questo piano fa parte di un progetto, portato avanti da decenni, della famiglia Rockefeller, volto a imporre l’eugenetica nel mondo, chiamato “The Project” (Il progetto). Si tratta di una pseudo-scienza, attraverso la quale, si vuole imporre la “purezza razziale”, attraverso la manipolazione genetica. Comunemente si ritiene che gli esperimenti per ottenere la “razza ariana” siano cominciati, e che siano esclusiva, del Nazismo; ma, in realtà, tali studi cominciarono a inizio ’800 negli Stati Uniti, ad opera della famiglia Rockefeller, la quale a partire dagli anni ’30, cominciò a finanziare i “lavori” dei nazisti.
L’idea era quella di ridurre la vita a una mera sequenza di geni (riduzionismo), la quale sarebbe poi modificabile a piacimento, permettendo la creazione di esseri viventi con caratteristiche stabilite in laboratorio dai ricercatori, o per meglio dire, dai loro finanziatori. Questo fu alla base della Rivoluzione Verde, progettata da Nelson Rockefeller e dall’ex Segretario all’Agricoltura statunitense, in carica durante il New Deal, e fondatore della Pioneer Hi-Bred Seed Company, Henry Wallace, di ritorno da un viaggio in Messico, nel 1964. Dietro i rassicuranti propositi della lotta alla fame nel mondo, i suoi ideatori cominciarono a lavorare in alcuni paesi in via di sviluppo, ritenuti strategici per gli interessi di Washington, come il Messico e l’India.
La vera strategia occulta, la si può desumere da un articolo scritto da John H. Davis – sottosegretario all’agricoltura durante la presidenza di Eisenhower e membro della lobby di potere legata ai Rockefeller – apparso sulla Harvard Business Review, nel 1956. Nel testo, Davis affermava che «l’unico modo per risolvere i problemi dell’agricoltura americana, una volta e per tutte, è quello di trasformarla in agribusiness», cioè realizzare una fortissima concentrazione della catena della produzione alimentare nelle mani di pochissime multinazionali, a discapito dei piccoli agricoltori tradizionali.
La Rivoluzione Verde si basava sui semi ibridi, la cui caratteristica principale è la tendenza a non riprodursi; infatti, quelli di seconda generazione hanno una capacità di germinazione molto minore a quelli originali, a differenza delle varietà naturali. Questo fa sì che ne venga eliminato il commercio, e lo scambio di conoscenze e tradizioni tra i vari coltivatori, elemento tipico dell’agricoltura tradizionale. Questo, unito alla grande dei brevetti sugli OGM nelle mani di poche multinazionali, ha fatto sì che creasse un mercato monopolistico, che ha determinato la base per la successiva Rivoluzione Genetica.
Le nuove tecnologie agricole statunitensi, il diffondersi dei fertilizzanti chimici e dei semi ibridi ha reso i contadini dei paesi sviluppati completamente dipendenti dalle importazioni dalle aziende dell’agribusiness e petrolchimiche degli Stati Uniti, trasformando i sistemi agricoli volti all’autosufficienza alimentare, in orientati al mercato, o per meglio dire alle esportazioni.
La Rockefeller Foundation e la Ford Foundation collaborano insieme per realizzare gli obiettivi di politica estere dell’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti (USAID) e della CIA. Uno dei risultati più drammatici di tale strategia fu lo spopolamento delle aree agricole dei paesi sviluppati, trasformando i contadini in disperati emarginati abitanti dei ghetti delle metropoli. Non si tratta di un fatto accidentale; bensì, è la realizzazione del progetto volto a creare manodopera a bassissimo costo per le multinazionali manifatturiere degli Stati Uniti, cioè la “globalizzazione”.
La coltivazione di monocolture di semi ibridi ha impoverito il terreno, abbassando la quantità dei raccolti. Questo anche se i primi risultati furono opposti: in Messico, i raccolti di alcuni colture, come il mais e il grano, raddoppiarono, se non triplicarono. Ma questa tendenza si è invertita dopo pochissimo tempo; infatti, i semi “superproduttivi” hanno finito ben presto col saturare il terreno, a causa delle grandi quantità di fertilizzanti necessari per farli germogliare, i quali erano a base di petrolio e altri prodotti petrolchimici, settori controllati dai Rockefeller.
Per pagare tali prodotti, oltre che gli enormi sistemi idrici e dighe, necessari per tali coltivazioni, i contadini furono costretti a indebitarsi notevolmente. Ottennero “aiuto” dalla Banca Mondiale, dalla Chase Bank, e da altri grandi istituti di New York, dietro a garanzie fornite da Washington. Ovviamente, i piccoli contadini non poterono accedere a tali fondi, e furono costretti a ricorrere al prestito privato.
A causa degli esorbitanti tassi, non poterono godere nemmeno dei benefici iniziali dell’agribusiness, in quanto dovettero vendere buona parte del raccolto, solo per pagare gli interessi. Costoro diventarono schiavi dei prestatori di denaro, che spesso si presero il terreno, per insolvenza; così facendo, nei paesi in via di sviluppo, si accentuò ampiamente la forbice tra ricchi e poveri.
Anni dopo avvenne una seconda Rivoluzione Genetica, organizzata dalla Rockefeller Foundation e la Gates Foundation, le quali investirono milioni di dollari nel progetto chiamato “Alleanza per la Rivoluzione Verde in Africa” (AGRA). Per capire quanto essa fosse potente, basti pensare che il segretario del consiglio direttivo è stato Kofi Annan, l’ex segretario generale dell’ONU. Tale organizzazione ha lo scopo di diffondere le “biotecnologie” – il nuovo termine eufemistico usato per i semi geneticamente modificati e brevettati – in Africa. Finora, l’unico Paese del continente che ha legalizzato le coltivazioni OGM è stato il Sud Africa; mentre, nel 2003, il Burkina Faso ne ha avviato una fase sperimentale, e nel 2005 il Ghana ha emanato una legislazione sulla biosicurezza e annunciato di voler avviarsi verso l’apertura a tali coltivazioni.
L’Africa è il prossimo obiettivo della campagna di proliferazione di prodotti geneticamente modificati, guidata da Washington; infatti, il suo prolifico terreno, la rende un candidato ideale a tale ruolo. Per favorire tale fenomeno, il governo statunitense, tramite la USAID, e la Banca Mondiale stanno finanziando borse di studio per ricercatori africani, presso laboratori all’estero, affinché si specializzino sulle biotecnologie. Un esempio di esse, sono le ricerche per valutare le possibilità di coltivare cotone OGM a Makhathini Flats, in Sud Africa. Un altro è rappresentato dal progetto della Syngenta, la quale sta investendo milioni di dollari, costruendo serre a Nairobi, dove sta testando del mais geneticamente modificato per resistere ai parassiti.
Ecco il quadro in cui va inserita la banca dei semi di Svalbard, la quale è gestita da un’organizzazione chiamata Fondo Globale per la Diversità delle Colture (GCDT), fondata dalla FAO, e dall’Istituto Internazionale per la Biodiversità (già Istituto Internazionale per la Ricerca Genetica sulle Piante), facente parte della CGIAR, con base a Roma. Il consiglio di amministrazione è presieduto da Margaret Catley-Carlson, una dirigente canadese del Group Suez Lyonnaise des Eaux, una delle multinazionali leader nella privatizzazione dell’acqua; inoltre, è stata anche presidente, fino al 1998, del Consiglio sulla Popolazione, un’organizzazione fondata da John D. Rockefeller a New York, la quale si occupa di programmi per la riduzione della popolazione mondiale (biogenetica, sterilizzazioni di massa, controllo delle nascite, ecc.).
Altro membro del consiglio è il capo della DreamWorks Animation, Lewis Coleman, il quale è anche a guida del consiglio di amministrazione della Northrup Grumman Corporation, una delle principali aziende produttrice di armi, che lavora per il Pentagono. La cosa curiosa è che i maggiori clienti delle banche dei semi sono le multinazionali dell’agribusiness, le quali controllano la totalità dei brevetti sulle varietà OGM.
È certamente il caso della Monsanto che ha quello sui semi Terminator. Questo controllo così rigido sulla catena alimentare non si è mai registrato nella storia dell’umanità, e rende i coltivatori del mondo schiavi di tre o quattro multinazionali, come la Monsanto, la DuPont o la Dow Chemical. Va detto che questa realtà permette a Washington, che agisce alle spalle di queste aziende, di impedire la fornitura di semi a quei paesi in via di sviluppo, che non appoggiano le sue scelte in politica estera.
I prodotti che queste multinazionali hanno sviluppato in questi anni (diossina, Agente Arancio, PCB, ecc.) hanno causato danni agli animali e agli esseri umani e sono sempre stati tenuti nascosti all’opinione pubblica, come la tossicità del Roundup Ready, nascosta tramite operazioni volte a denigrare gli scienziati che l’avevano scientificamente dimostrata.
Come già detto, esistono già migliaia di banche dei semi sparse per il mondo; ma, tutte insieme contengono circa sei milioni e mezzo di varietà, mentre quella di Svalbard da sola ha la possibilità di raccoglierne quattro milioni e mezzo. Visti i precedenti, e i membri del suo consiglio di amministrazione, è legittimo pensare che possa essere utilizzato come deposito in vista di una futura e pianificata guerra batteriologica?
In passato, tali soggetti hanno già attuato questo genere di piani. Nel 1939, Margaret Sanger, intima della famiglia Rockefeller e fondatrice dell’Organizzazione Internazionale per la Pianificazione Famigliare, ha lanciato il “Negro Project”, allo scopo di «sterminare la popolazione nera». L’azienda Epicyte, nel 2001, annunciò lo sviluppo di una varietà di grano OGM, contenente uno spermicida che rende sterili gli uomini che lo mangiano.
Durante gli anni ’90, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dell’ONU (WHO) ha lanciato una campagna per vaccinare contro il tetano, milioni di donne, tra i 15 e i 45 anni, in Nicaragua, Messico e nelle Filippine. In seguito si è venuto a sapere dell’esistenza di un progetto ventennale, organizzato dalla Rockefeller Foundation, dal Consiglio sulla Popolazione, la Banca Mondiale e l’Istituto per la Sanità degli Stati Uniti, volto a sviluppare un vaccino che causasse l’aborto, utilizzato poi nella campagna della WHO.
Sulla stessa scia, il governo della Norvegia, dove si trova la banca di Svalbard, ha donato 41 milioni di dollari per sviluppare un vaccino contro il tetano che fosse anche abortivo. Secondo il prof. Francis Boyle, che ha redatto l’Atto Anti-Terrorismo Batteriologico, il Pentagono è da qualche anno impegnato a dotarsi di un arsenale per la guerra batteriologica. Dal 2001 al 2004, il governo federale ha speso 14,5 miliardi di dollari, per progetti a riguardo. Richard Ebright, un biologo della Rutger University, afferma che, attualmente, negli Stati Uniti, ci sono oltre 300 istituzioni scientifiche, e circa 12.000 individui, che hanno accesso a elementi patogeni adatti alla guerra batteriologica.
Di sicuro esistono 497 esperimenti di ricerca, gestiti dal governo degli Stati Uniti, su malattie infettive con potenziale da attacco batteriologico; ovviamente, vengono giustificati con la scusa di essere pronti a difendersi da attacchi terroristici.
Molti dei soldi che il governo stanzia in questo settore riguardano l’ingegneria genetica. Il professore di biologia del MIT, Jonathan King, sostiene che «i programmi di bio-terrore rappresentano un pericolo significativo per la nostra popolazione», e aggiunge che «nonostante vengano definiti come difensivi, quando sono coinvolte armi batteriologiche, i programmi difensivi e offensivi coincidono in modo quasi totale».
Il tempo ci dirà se la banca dei semi di Svalbard fa parte, o meno, di una nuova “Soluzione Finale”, che stavolta comporterà la fine del pianeta Terra.