di Pino Cabras – Megachip.
Anche a Oslo l’esercitazione antiterrorismo c’era, eccome se c’era: il più importante quotidiano norvegese, «Aftenposten», il 26 agosto 2011 ha pubblicato nella sua versione on line un articolo inquietante. Un reportage di Andreas Bakke Fossconferma infatti che anche per la strage del 22 luglio 2011 si è avuto lo stesso pazzesco scenario di coincidenze presentatosi in occasione dell’11 settembre 2001 (in USA) e del 7 luglio 2005 (a Londra), così come in altre occasioni di rilevanti attentati terroristici. In tutti questi casi la scena del crimine ha letteralmente ricalcato simulazioni in corso degli apparati di sicurezza.
Il caso di Oslo in un primo momento si era prestato a un equivoco a causa di un altro articolo dello stesso «Aftenposten» che raccontava un’esercitazione del 2010, ma con la data apparente del 22 luglio 2011. Molti erano caduti nell’errore, compreso chi scrive. Mi sono scusato con i lettori di quella svista che avevo il dovere di rettificare, spiegando che avevano contribuito all’errore certi schemi interpretativi della cronaca che – visti i precedenti – mi avevano spinto subito, a caldo, a cercare se per caso anche a Oslo non vi fossero stati dei “war games” che si intersecavano con gli eventi reali. Ebbene, l’interrogativo sull’eventuale ruolo delle esercitazioni, dopo il nuovo articolo di «Aftenposten», ridiventa immediatamente una questione cruciale per il corso delle indagini sull’orribile massacro di Oslo, e riacquista una bruciante attualità.
Ho tradotto integralmente l’articolo, e consiglio di leggerlo qui di seguito. Alla fine cercheremo di trarre qualche momentanea conclusione.
C’era un’esercitazione sullo stesso scenario di Utøya del 22 luglio
di Andreas Bakke Foss - «Aftenposten»
Solo poche ore prima che Anders Behring Breivik iniziasse a sparare sui ragazzi di Utøya le squadre di emergenza della polizia avevano concluso un’esercitazione in cui avevano sperimentato una situazione quasi identica.
Fin da quattro giorni prima e nello stesso venerdì in cui l’attentato fu perpetrato, unità speciali della polizia si sono esercitate in un’operazione terroristica in corso che era quasi uguale alla situazione che poche ore dopo gli ufficiali della squadra di emergenza della polizia avrebbero affrontato nell’isola di Utøya.
«Aftenposten» ha ricevuto una conferma da fonti certe presso i funzionari della polizia di Oslo che l’esercitazione si è conclusa alle 15 di quello stesso venerdì.
Tutti gli agenti delle squadre di emergenza che sono intervenuti nel quartiere degli edifici governativi dopo l’autobomba e che più tardi sbarcarono a Utøya per arrestare Anders Behring Breivik, avevano partecipato poco prima in quella stessa giornata - nonché nei giorni precedenti – a un addestramento basato su uno scenario similissimo.
Così alla polizia non è restato che sospendere a quel punto l’esercitazione per addestrarsi direttamente nella realtà.
In base a quanto appreso da «Aftenposten», l’esercitazione si rifaceva direttamente a quanto aveva affrontato la polizia nel lago di Tyrifjorden lo stesso giorno: un attacco terrorista mobile nel quale l’unico obiettivo di uno o più esecutori consisteva nello sparare a quanta più gente possibile e poi nel fare fuoco sui poliziotti al loro arrivo.
«Era assai simile allo schema. Così ha voluto il caso», dichiara una fonte attendibile della polizia, che ha chiesto l’anonimato.
Massacro
Lo scenario dell’esercitazione della polizia non prevedeva così tante vittime come quello verificatosi a Utøya.
Le unità speciali della polizia si addestrano in continuazione. Ma ogni tre mesi i “moduli” su cui si esercitano vanno su tipi di scenario diversi.
Ci sono diversi scenari che la polizia presume possano accadere e nei quali le squadre di emergenza dovranno inserirsi. Possono essere azioni in luoghi chiusi, nelle città o in altre ambientazioni.
Secondo la polizia, questo era uno scenario su cui si sono addestrati più volte all’anno e per vari anni, soprattutto dopo alcuni eventi accaduti in altri paesi.
26 minuti
Appena 26 minuti dopo che l’esercitazione rivolta alle squadre di emergenza si era conclusa, è esplosa l’autobomba nel quartiere dei palazzi governativi. Le squadre di emergenza furono mobilitate prontamente.
Alle ore 17,30 il personale della polizia di Oslo ebbe notizia del fatto che aUtøya era in corso una sparatoria. Fu data così tanta importanza al messaggio che le squadre d’emergenza presero non solo le auto che già avevano a disposizione presso i loro uffici, ma anche le macchine che arrivavano dalla stazione di polizia di Grønland a Oslo.
Lungo il cammino, tentarono di mettersi in contatto con il distretto di polizia di Nordre Buskerud, finché alle 18,02, sei minuti prima di arrivare, presero contatto e concordarono d’incontrarsi a Storøya.
C’erano sette persone delle squadre di emergenza e tre agenti del distretto di polizia di Nordre Buskerud in un unico gommone lungo 4,9 metri. Era così appesantito che iniziava a imbarcare acqua. La polizia era assistita da un’imbarcazione civile e si diresse a Utøya.
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Ecco, dopo la lettura dell’articolo norvegese, è inevitabile che mi venga in mente un altro caso, quello di Londra. Gli attentati di Londra del 7 luglio 2005 hanno coinciso, per tempi e luoghi, con lo svolgimento di un’esercitazione anti-terroristica organizzata dall’impresa Visor Consultants. In base alla clamorosa testimonianza del direttore dell’azienda, Peter Power - registrata dal canale televisivo ITN - in corso d’opera i responsabili hanno constatato nella sala comandi che il loro scenario si realizzava ‘per davvero’ davanti ai loro occhi. Cosa disse lo stesso Peter Power?
Vale la pena leggere la trascrizione dell’intervista:
Power: Alle 9:30 stamani eravamo infatti in piena esercitazione, per una società che conta più di mille persone a Londra, un’esercitazione basata su delle bombe sincronizzate e pronte a esplodere esattamente in quelle stesse stazioni della metropolitana dov’è accaduto stamattina. Mi si rizzano ancora i capelli in testa.
ITN: Per esser più chiari, avevate organizzato un esercitazione per sapere come gestire tutto ciò ed è capitato mentre conducevate tale esercitazione?
Power: Esatto, erano circa le 9:30 stamani. Avevamo pianificato questa esercitazione per una società, per evidenti ragioni non vi dirò il suo nome, ma sono davanti alla TV e lo sanno. Eravamo in una sala piena di gestori della crisi che si incontravano per la prima volta. In cinque minuti abbiamo realizzato che quel che succedeva era vero e abbiamo attivato le procedure di gestione della crisi in modo da passare dalla riflessione lenta alla riflessione rapida, e così via.
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Di recente Miguel Martinez ha scritto sul suo blog un bell’articolo sul caso norvegese, che - oltre a spiegare in modo mirabile il côté “fallaciano” dello stragista nordico - consigliava implicitamente una prudenza estrema prima di ipotizzare scenari analoghi alla strategia della tensione e allo stragismo italiano. Suggeriva in particolare di semplificare la scena anche nel caso Breivik, applicando il famoso “rasoio di Occam”. In pratica un complotto per ragioni geopolitiche ai danni del governo norvegese avrebbe potuto realizzarsi meglio con altri mezzi e non con l’azione scellerata di Breivik, che al contrario ha compattato il popolo intorno ai governanti attuali e intanto fa sì che l’attentatore possa rimanere a lungo esposto al torchio delle autorità. Il rischio per gli ipotetici mandanti sarebbe troppo alto. Ergo è improbabile che ci siano mandanti.
Il consiglio è buono. Ma dissento su un punto: il “rasoio di Occam”. Occam era un filosofo medievale, e nel suo latino diceva: «entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem». Ossia «gli elementi non sono da moltiplicare più del necessario». Usando una sensibilità del XXI secolo il concetto può suonare così: «a parità di fattori, la spiegazione più semplice tende ad essere quella esatta».
Il punto è questo, Occam diventa estremamente inadatto quando si tratta di valutare il terrorismo di questo secolo. Nella scacchiera delle mosse terroristiche gli elementi si moltiplicano, e si complicano oltre ogni necessità normalmente misurata dall’uomo della strada o perfino dalle redazioni degli organi di stampa.
In quasi tutte le vicende terroristiche rilevanti degli ultimi decenni ci sono interferenze di strategie di apparati d’intelligence in grado di sopportare dei prezzi per ottenere risultati strategici. E in molti casi le azioni dei terroristi non si riassumono in rapporti fra mandanti ed esecutori, ma in relazioni molto più complicate e soggette a intermediazioni in grado di mascherare i padroni del gioco. È uno degli strumenti di lavoro preferiti da chi organizza operazioni coperte. Si chiama “plausible deniability”, ossia la possibilità di negare plausibilmente qualsiasi legame con un atto o con delle persone legate a quell’atto.
Sulla funzionalità delle esercitazioni nei casi di attentato rimando a questo articolo: Il caso di Tripod II e altri giochi di guerra dell’11/9. Un estratto potete anche leggerlo come appendice del presente articolo.
Oslo è decisamente un caso ancora aperto.
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Appendice:
Estratto da P. Cabras, Il caso di Tripod II e altri giochi di guerra dell’11/9, 10 settembre 2009.
Il vantaggio di una tale strategia appare del tutto comprensibile e plausibile, volendo iniziare su basi diverse dal passato una vera inchiesta.
In primo luogo dobbiamo ritenere che militari, funzionari governativi o membri dei servizi d’intelligence che avessero in mente azioni eversive non potrebbero organizzare degli attentati senza farsi scoprire. Da qui la prima funzione di un’esercitazione: essa offre agli organizzatori la copertura idonea a mettere in moto l’operazione, permette loro di utilizzare i funzionari e le strutture governative per realizzarla e fornisce una risposta soddisfacente ad ogni domanda che dovesse sorgere su stranezze e movimenti insoliti. Perché possa funzionare, è chiaramente necessario che lo scenario dell’esercitazione sia a ridosso dell’attentato progettato.
In secondo luogo, se prevista nella data dell’attentato, l’esercitazione permette di schierare legittimamente degli uomini sul terreno, uomini che indossano l’uniforme dei servizi di sicurezza o di soccorso. Piazzare fra questi coloro che sistemano delle bombe o coordinano dei movimenti è relativamente facile, senza che sorgano sospetti.
In terzo luogo, lo svolgimento delle esercitazioni in simultanea con i veri attentati permette di scompigliare la buona esecuzione delle risposte da parte dei servizi di sicurezza o di soccorso leali per via della confusione fra la realtà e la finzione. Le contraddizioni e le scoperte di singoli spezzoni dei fatti non intaccano l’insieme. Anzi, aiutano a truccare e rendere incomprensibile il mosaico. L’11 settembre – a un certo punto della mattinata – decine di aerei furono segnalati come dirottati, e si rincorrevano voci di ulteriori attentati. Dove dunque bisognava inviare le pattuglie, quali edifici occorreva proteggere per primi? Si può immaginare il caos che tutto ciò ha potuto sollevare nelle sale comando.
Le operazioni di questa natura sono modulari, mirano a diversi obiettivi compresenti e intercambiabili, altrettante strade a disposizione verso il medesimo effetto, e sono percorse in simultanea, finché la regia, ovunque si trovi, non sceglie una trama tra le diverse trame preordinate che intanto avanzavano alla pari.
Le persone incaricate di eseguire soltanto certi segmenti dell’operazione, obbediscono – spesso in perfetta buona fede - a ordini di personalità a loro sovraordinate che a loro volta conoscono solo un dettaglio, ma non l’intera pianificazione, né i suoi obiettivi.
Sto descrivendo meccanismi normalmente usati nelle azioni dei servizi segreti, che si esasperano nei casi in cui operano le “leve lunghe” e le operazioni coperte, fino a ingigantirsi in occasione di grandi operazioni terroristiche usate come base politica per drammatiche svolte costituzionali e per le guerre.
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