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martedì 24 febbraio 2015

I misteri di Adam Kadmon (da Libero)

Adam Kadmon
Adam Kadmon uomo del mistero e di Mistero, il format che ti ha reso l’esperto di cospirazioni, esoterismo ed occultismo più noto in Italia, ed unico ad essere stato menzionato dal New York Times; il tuo libro Illuminati viaggio nel cuore nero della cospirazione mondiale (edizioni Piemme) è diventato un caso editoriale. Sei popolarissimo in Internet ma su di te, si trovano ben poche informazioni certe. Aiutaci a fare un po’ di chiarezza.
Adam Kadmon è il tuo vero nome?È il nome iniziatico che uso anche come pseudonimo quale autore, conduttore, ricercatore e fonte di argomenti esoterici ed occultistici. Significa “Umanità delle origini” da “Adam” = Umanità e “Ha Kadmoni” = “delle origini”.
Perché hai deciso di chiamarti così?In un certo senso è stato il nome a scegliere me. Mi spiego meglio. Secondo le Culture Sapienziali, che costituiscono il substrato esoterico di alcune importanti religioni, il nome “Adam Kadmon” andava riconosciuto alla persona i cui dati, applicandovi tecniche di riduzione numerologica, restituissero sempre e comunque il valore 7. In effetti, non solo i miei dati anagrafici, per esempio nome e cognome o data di nascita, ma anche tutto il resto: le vocali del nome, il numero di telefono fisso, il codice di avviamento postale, il segno zodiacale, il numero dei pianeti nell’elemento che lo caratterizza e quant’altro.
Questa caratteristica esoterica ti conferisce “speciali poteri”?Sempre secondo le loro profezie, chiunque mi cagioni volutamente sofferenza, soffrirà sette volte il dolore da me patito mentre chi mi vuole genuinamente bene, inizierà a essere fortunato. Nonostante io non creda assolutamente né in profezie né in religioni, devo ammettere che ho visto calamità incredibili abbattersi su chi mi faceva soffrire e grandi fortune arridere chi mi proteggeva disinteressatamente. Se si tratta di coincidenze sono impressionanti.
Credi nelle profezie?No. Credo nelle persone di buona volontà.
Non sei un “complottista” ma un esperto delle teorie del complotto, di esoterismo e di occultismo. Come ti rapporti con queste teorie?Ho sempre avuto una posizione molto critica e obiettiva. Apro e chiudo i servizi invitando chi mi segue a cogliere quello che dico al pari di una “fiaba”, ricordando che ogni favola ha sempre una precisa morale. La saggezza sta nel saperne cogliere il corretto insegnamento. In assenza di prove, qualsiasi argomento, per quanto plausibile, non va mai imposto come verità assoluta, come purtroppo in Rete fanno anche in troppi, ma al contrario va presentato come ipotesi, teoria o come “fiaba dell’età moderna”.
Numerose delle tue fiabe, si sono poi rivelate autentiche. Sei stato il primo ad esempio rassicurare il pubblico spiegando che l’influenza suina era meno pericolosa del morbillo, in tempi in cui l’OMS gridava alla pandemia e ad averci avvisato dell’esistenza di un monitoraggio di massa da parte di potentissime “intelligence”, fra cui la NSA, su comunicazioni telefoniche, internet e social network poi confermata da Snowden, ex agente segreto della CIA.  Come facevi a saperlo? Sei forse un agente segreto che finge di essere un attore cosicché tutti lo scambiamo per un personaggio di fantasia?No, non sono un agente segreto. Del resto se lo fossi, non potrei certo dirlo né dimostrarlo. E neppure sono un personaggio di fantasia. La maschera e gli abiti che indosso in televisione dalla sesta edizione di Mistero, appartengono realmente alla mia Cultura. Non sono una invenzione scenica e non servono per nascondere il mio volto. È il nostro modo di vestire abituale nel mondo da cui provengo. Mentre da voi è obbligatorio non indossare indumenti che possano rendere difficoltoso il riconoscimento, da me, essendo tutti educati al rispetto reciproco, non corriamo questo tipo di rischi. Per noi è molto importante lo sguardo perché da esso traspare la verità sullo stato d’animo di una persona, che la mimica facciale può invece facilmente confondere.
All’interno della nostra società hai una vita normale?Quando non lavoro per Mistero, ma svolgo altre attività, adotto il comportamento di una persona normalissima, volendo anche banale, arrivando se necessario a fingermi vulnerabile, per studiare adulatori e avversari. Il vantaggio è molteplice: scopro rapidamente chi mi è amico da chi invece è solo uno speculatore, chi crede di approfittarsi di quella che faccio sembrare “ingenuità”. Ho perso il conto degli stolti che per aver scambiato gentilezza per debolezza, hanno commesso azioni di cui poi si sono pentiti. Ad ogni modo il mio consiglio è sempre quello di perdonare. Perdonare ma non dimenticare.  E concedere una seconda possibilità a chi dimostra con tutto il Cuore, con la C maiuscola, un serio ravvedimento. Del resto il vero miglioramento del mondo, parte proprio da noi stessi. E questa, non è una teoria.
Un abbraccio, Adam.
Da Libero (25/02/14)
MOK MOK

Visto su: https://mokzine.wordpress.com/2014/02/25/i-misteri-di-adam-kadmon-da-libero/

domenica 22 febbraio 2015

La Felicità


IL PIANO KALERGI

L’immigrazione di massa è un fenomeno le cui cause sono tutt’oggi abilmente celate dal Sistema e che la propaganda multietnica si sforza falsamente di rappresentare come inevitabile.
Con questo articolo intendiamo dimostrare una volta per tutte che non si tratta di un fenomeno spontaneo.
Ciò che si vorrebbe far apparire come un frutto ineluttabile della storia è in realtà un piano studiato a tavolino e preparato da decenni per distruggere completamente il volto del Vecchio continente.
L’ESSENZA DEL PIANO KALERGI
Nel suo libro «Praktischer Idealismus», Kalergi dichiara che gli abitanti dei futuri “Stati Uniti d’Europa” non saranno i popoli originali del Vecchio continente, bensì una sorta di subumanità resa bestiale dalla mescolanza razziale. Egli afferma senza mezzi termini che è necessario incrociare i popoli europei con razze asiatiche e di colore, per creare un gregge multietnico senza qualità e facilmente dominabile dall’élite al potere.


«L’uomo del futuro sarà di sangue misto. La razza futura eurasiatica-negroide, estremamente simile agli antichi egiziani, sostituirà la molteplicità dei popoli, con una molteplicità di personalità».
 
Ecco come Gerd Honsik descrive l’essenza del Piano Kalergi (2)
Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente,l’eliminazione delle nazioni per mezzo dei movimenti etnici separatisti o l’immigrazione allogena di massa. Affinché l’Europa sia dominabile dall’élite, pretende di trasformare i popoli omogenei in una razza mescolata di bianchi, negri e asiatici. A questi meticci egli attribuisce crudeltà, infedeltà e altre caratteristiche che, secondo lui, devono essere create coscientemente perché sono indispensabili per conseguire la superiorità dell‘elite.
Eliminando per prima la democrazia, ossia il governo del popolo, e poi il popolo medesimo attraverso la mescolanza razziale, la razza bianca deve essere sostituita da una razza meticcia facilmente dominabile. Abolendo il principio dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge e evitando qualunque critica alle minoranze con leggi straordinarie che le proteggano, si riuscirà a reprimere la massa. I politici del suo tempo diedero ascolto a Kalergi, le potenze occidentali si basarono sul suo piano e le banche, la stampa e i servizi segreti americani finanziarono i suoi progetti. I capi della politica europea sanno bene che è lui l’autore di questa Europa che si dirige a Bruxelles e a Maastricht.
 
DA KALERGI AI NOSTRI GIORNI
Benché nessun libro di scuola parli di Kalergi, le sue idee sono rimaste i principi ispiratori dell’odierna Unione Europea. La convinzione che i popoli d’Europa debbano essere mescolati con negri e asiatici per distruggerne l’identità e creare un’unica razza meticcia, sta alla base di tutte le politiche comunitarie volte all’integrazione e alla tutela delle minoranze. Non si tratta di principi umanitari, ma di direttive emanate con spietata determinazione per realizzare il più grande genocidio della storia.
In suo onore è stato istituito il premio europeo Coudenhove-Kalergi che ogni due anni premia gli europeisti che si sono maggiormente distinti nel perseguire il suo piano criminale. Tra di loro troviamo nomi del calibro di Angela Merkel o Herman Van Rompuy.



La Società Europea Coudenhove-Kalergi ha assegnato
alla Cancelliera Federale Angela Merkel
il Premio europeo nel 2010





Il 16 novembre 2012 è stato conferito al presidente del Consiglio europeo
Herman Van Rompuy il premio europeo Coudenhove-Kalergi 2012 durante un
convegno specialesvoltosi a Vienna per celebrare i novant’anni del
movimento paneuropeo. Alla sue spalle compare
il simbolo dell’unione paneuropea: una croce rossa che sovrasta
il sole dorato, simbolo che era stato l’insegna dei Rosacroce.

L’incitamento al genocidio è anche alla base dei costanti inviti dell’ONU ad accogliere milioni di immigrati per compensare la bassa natalità europea. Secondo un rapporto diffuso all’inizio del nuovo millennio, gennaio 2000, nel rapporto della “Population division” (Divisione per la popolazione) delle Nazioni Unite a New York, intitolato: “Migrazioni di ricambio: una soluzione per le popolazioni in declino e invecchiamento, l’Europa avrebbe bisogno entro il 2025 di 159 milioni di immigrati. Ci si chiede come sarebbe possibile fare stime così precise se l’immigrazione non fosse un piano studiato a tavolino. È certo infatti che la bassa natalità di per sé potrebbe essere facilmente invertita con idonei provvedimenti di sostegno alle famiglie. È altrettanto evidente che non è attraverso l’apporto di un patrimonio genetico diverso che si protegge il patrimonio genetico europeo, ma che così facendo se ne accelera la scomparsa. L’unico scopo di queste misure è dunque quello di snaturare completamente un popolo, trasformarlo in un insieme di individui senza più alcuna coesione etnica, storica e culturale. In breve, le tesi del Piano Kalergi hanno costituito e costituiscono tutt’oggi il fondamento delle politiche ufficiali dei governi volte al genocidio dei popoli europei attraverso l‘immigrazione di massa. G. Brock Chisholm, ex direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dimostra di avere imparato bene la lezione di Kalergi quando afferma:
«Ciò che in tutti i luoghi la gente deve fare è praticare la limitazione delle nascite e i matrimoni misti (tra razze differenti), e ciò in vista di creare una sola razza in un mondo unico dipendente da un’autorità centrale» (4)

CONCLUSIONE
Se ci guardiamo attorno il piano Kalergi sembra essersi pienamente realizzato. Siamo di fronte ad una vera terzomondializzazione dell’Europa. L’assioma portante della “Nuova civiltà” sostenuta dagli evangelizzatori del Verbo multiculturale, è l’adesione all’incrocio etnico forzato. Gli europei sono naufragati nel meticciato, sommersi da orde di immigrati afro-asiatici. La piaga dei matrimoni misti produce ogni anno migliaia di nuovi individui di razza mista: i “figli di Kalergi”. Sotto la duplice spinta della disinformazione e del rimbecillimento umanitario operato dai mezzi di comunicazione di massa si è insegnato agli europei a rinnegare le proprie origini, a disconoscere la propria identità etnica.? I sostenitori della Globalizzazione si sforzano di convincerci che rinunciare alla nostra identità è un atto progressista e umanitario, che il “razzismo” è sbagliato, ma solo perché vorrebbero farci diventare tutti come ciechi consumatori. È più che mai necessario in questi tempi reagire alle menzogne del Sistema, ridestare lo spirito di ribellione negli europei. Occorre mettere sotto gli occhi di tutti il fatto che l’integrazione equivale a un genocidio. Non abbiamo altra scelta, l’alternativa è il suicidio etnico: il piano Kalergi.


giovedì 19 febbraio 2015

Il ruolo saudita negli attacchi dell’11 settembre

Il ruolo saudita negli attacchi dell'11 settembre

finalmente ripreso dalla grande stampa negli Stati Uniti e in Europa


movisolMoviSol - Le dichiarazioni rilasciate poco prima della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco da Zakariya Musawi, condannato negli Stati Uniti per il suo ruolo negli attacchi dell'11 settembre a New York e Washington, hanno portato ad un'esplosione di articoli negli Stati Uniti, ed anche in Europa, sul ruolo di funzionari e istituzioni sauditi negli attentati.
Ciò ha alimentato la campagna per la pubblicazione delle famose 28 pagine del rapporto del Congresso sull'11 settembre, censurate dall'amministrazione Bush prima, e poi da quella di Obama.
Ma che cosa afferma Musawi, che pianificava di partecipare all'attacco dell'11 settembre? Che prima dell'attentato faceva la spola con Riad, agendo come corriere, consegnando a mano lettere e assegni firmati personalmente da Osama bin Laden e dal principe Salman – che, dopo la recente morte di Re Abdullah, è diventato il nuovo monarca dell'Arabia Saudita.

Bush-Abdullah_2005

I documenti messi agli atti processuali insieme alla sua testimonianza puntano il dito su Salman per il suo ruolo di direttore dell'Alta Commissione Saudita per i Soccorsi in Bosnia-Erzegovina, che "contribuì a finanziare gli stessi campi di addestramento di Al Qaeda in cui furono addestrati i dirottatori dell'11 settembre, nonché i covi in Afghanistan da cui persone come Osama bin Laden e Khalid Sheikh Mohammed pianificarono e coordinarono gli attacchi".
La notizia è stata ripresa per due giorni di seguito dal New York Times in articoli di prima pagina (il 4 ed il 5 febbraio). L'autore di un articolo, Carl Hulse, era stato alla conferenza stampa del 7 gennaio a Capitol Hill indetta su questo tema dai congressisti Walter Jones e Stephen Lynch, a cui aveva parlato anche il Sen. Bob Graham, che era presidente della Commissione autrice del rapporto, poi censurato.
In Francia e Belgio, dopo i recenti attacchi terroristici a Charlie Hebdo ed i raid condotti dalla polizia belga contro le cellule terroristiche, la notizia delle 28 pagine censurate è stata ripresa dai media. Questo è chiaramente il risultato degli interventi dei movimenti associati a LaRouche in Francia e Belgio, inclusi i recenti discorsi di Jacques Cheminade e Christine Bierre ad un colloquio ad alto livello sul terrorismo che si è tenuto all'Assemblea Nazionale (il Parlamento francese) sull'operazione anglo-saudita di Londonistan che controlla il terrorismo cosiddetto "islamico", e sulla battaglia negli Stati Uniti per desecretare le 28 pagine.
Ne hanno parlato Paris Match, Le Figaro, L'Express 20 minutes, nonché la belga RTBF.
MOVISOL


Visto su: http://www.ilsovranista.it/

mercoledì 18 febbraio 2015

La sensazionale notizia della presenza dell’Isis in Libia




Tragico errore o cinica scommessa? E se l’attacco a Gheddafi scatenato da Francia e Gran Bretagna nel 2011 fosse coinciso con il vero atto di fondazione della mostruosa creatura occidentale chiamata Isis? La Libia viene ora presentata come se fosse invasa da un’armata di Gengis Khan arrivata all’improvviso da non si sa dove, attraverso quali frontiere. In realtà, tra gli “shabab” insorti contro Gheddafi prevalse da subito la leadership fondamentalista, appoggiata dalle bombe della Nato. Crollato il regime, e aperto l’immediato e sanguinoso regolamento di conti tra clan, centinaia di guerriglieri libici furono segretamente dirottati in Siria, attraverso la Turchia, per creare il nerbo all’Esercito Siriano Libero, quello che un anno più tardi – con le armi chimiche usate contro i civili nel tentativo di incolpare Assad – portò il mondo a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, spingendo anche il Papa (insieme al Parlamento di Londra) a schierarsi vigorosamente contro l’attacco Nato. Svanita la possibilità di “jihadizzare” Damasco, ecco la nascita dell’Isis, guidato tra le macerie dell’Iraq dall’oscuro al-Baghdadi reduce dalla Siria, dov’era assistito e finanziato dagli Usa tramite missioni come quelle coordinate sul campo dal senatore John McCain. Qualcuno dunque riesce ancora a stupirsi della “comparsa” dell’Isis in Libia?
Visto il tragico copione degli eventi, Vincenzo Brandi su “Megachip” ricorda che quattro anni fa fu attaccato il paese più prospero dell’Africa, uno Stato che «stava in pace da 42 anni» ed «era riuscito a contenere i contrasti tra le varie tribù». Il Pil di Tripoli era il più alto di tutto il continente: la Libia di Gheddafi «ospitava 2 milioni di lavoratori immigrati, aveva ricontrattato le licenze petrolifere con le compagnie straniere ottenendo il 90% dei proventi per lo Stato libico redistribuendo i profitti tra la popolazione», e inoltre «riconosceva pienamente i diritti delle donne, aveva fornito il paese di acqua potabile riuscendo anche a raggiungere l’autosufficienza alimentare», dopo aver «allontanato tutte le basi militari straniere, acquisendo una piena indipendenza». La campagna militare anglo-francese del 2011, cui si associò l’Italia in extremis per tutelare i terminali petroliferi dell’Eni, fu preceduta dalla consueta disinformazione mirata a creare consenso bellico, con l’invariabile demonizzazione del dittatore, grande amico dell’Italia fino al giorno prima, accusato persino di aver fatto scavare inesistenti fosse comuni, evidentemente per occultare i corpi di altrettanto immaginarie stragi di civili.
Sulla Libia, nel 2011 gli Usa si lasciarono ritrarre in posizione più defilata. «La pensavamo come l’Italia: non bisogna intervenire», dice ora a “La7” un super-falco come il politologo Edward Luttwak, che però sui tagliagole mediatici del “Califfato” oggi dice: «Non chiamiamoli Isis, ma Islam: quello è il pericolo da fermare». E’ esattamente la stessa conclusione a cui puntano i macellai parigini di “Charlie Hebdo” e lo stragista solitario danese: il risultato delle loro azioni è la criminalizzazione indiscriminata di tutti i musulmani, verso lo “scontro di civiltà” tanto caro ai signori della guerra, al comando della politica estera Usa a partire dall’11 Settembre. Secondo Gioele Magaldi, autore del libro-denuncia “Massoni”, l’ex presidente francese Sarkozy, che per primo attaccò la Libia bomdardando Bengasi, sarebbe affiliato alla superloggia “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, loggia a cui apparterrebbe anche Tony Blair, l’inventore delle “armi di distruzione di massa” di Saddam. Lo stesso filo rosso-sangue collegherebbe Jeb Bush, possibile candidato alle presidenziali 2016, con lo stesso al-Baghdadi, il leader jihadista in apparenza comparso dal nulla – come Bin Laden – per terrorizzare l’opinione pubblica occidentale.
Nell’immenso caos nel quale è stato precipitato il mondo dopo il crollo dell’Urss, si susseguono ipotesi di spregiudicati complotti – alcuni chiaramente leggibili subito, altri confermati spesso dai fatti a posteriori, da prove e ammissioni – mentre avanza all’orizzonte l’inevitabile collisione geopolitica con la Cina, sempre più prossima a una Russia sfidata in Siria e ora assediata alla frontiera con l’Ucraina. Oltre alla coltre di nebbia stesa dai media e dai tanti “debunker”, gli incursori anti-complottistici (la Gran Bretagna ha recentemente reclutato centinaia di “troll” da scatenare su Facebook per smentire le accuse più insidiose), restano perfettamente percepibili le trame in corso, soggette poi al vaglio dell’imponderabile, e in particolare le manovre dell’Occidente per incunearsi nella grande faglia che separa i due rami dell’Islam: da Bin Laden in poi, finora l’intelligence atlantica ha puntato sui sunniti, arma letale contro l’Iran sciita e i suoi alleati regionali, come le milizie libanesi di Hezbollah che hanno arginato l’espansione di Israele. Nonostante quasi 15 anni di guerre ininterrotte, rovine, vittime e profughi, paesi devastati, “fallimenti” dietro cui si celano lucrosissimi business di armamenti e ricostruzioni, i signori della guerra restano al riparo: nessuno si domanda perché tutto questo accada, e il mainstream può persino permettersi di inscenare la “sorpresa libica” dell’Isis, col suo spettacolo dell’orrore.
Tragico errore o cinica scommessa? E se l’attacco a Gheddafi scatenato da Francia e Gran Bretagna nel 2011 fosse coinciso con il vero atto di fondazione della mostruosa creatura occidentale chiamata Isis? La Libia viene ora presentata come se fosse invasa da un’armata di Gengis Khan arrivata all’improvviso da non si sa dove, attraverso quali frontiere. In realtà, tra gli “shabab” insorti contro Gheddafi prevalse da subito la leadership fondamentalista, appoggiata dalle bombe della Nato. Crollato il regime, e aperto l’immediato e sanguinoso regolamento di conti tra clan, centinaia di guerriglieri libici furono segretamente dirottati in Siria, attraverso la Turchia, per creare il nerbo all’Esercito Siriano Libero, quello che un anno più tardi – con le armi chimiche usate contro i civili nel tentativo di incolpare Assad – portò il mondo a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, spingendo anche il Papa (insieme al Parlamento di Londra) a schierarsi vigorosamente contro l’attacco Nato. Svanita la possibilità di “jihadizzare” Damasco, ecco la nascita dell’Isis, guidato tra le macerie dell’Iraq dall’oscuro al-Baghdadi reduce dalla Siria, dov’era assistito e finanziato dagli Usa tramite missioni come quelle coordinate sul campo dal senatore John McCain. Qualcuno dunque riesce ancora a stupirsi della “comparsa” dell’Isis in Libia?
Visto il tragico copione degli eventi, Vincenzo Brandi su “Megachip” ricorda che quattro anni fa fu attaccato il paese più prospero dell’Africa, uno Stato che «stava in pace da 42 anni» ed «era riuscito a contenere i contrasti tra le varie tribù».




 Isis in Libia, lo spettacolo dell'orrore


Il Pil di Tripoli era il più alto di tutto il continente: la Libia di Gheddafi «ospitava 2 milioni di lavoratori immigrati, aveva ricontrattato le licenze petrolifere con le compagnie straniere ottenendo il 90% dei proventi per lo Stato libico redistribuendo i profitti tra la popolazione», e inoltre «riconosceva pienamente i diritti delle donne, aveva fornito il paese di acqua potabile riuscendo anche a raggiungere l’autosufficienza alimentare», dopo aver «allontanato tutte le basi militari straniere, acquisendo una piena indipendenza». La campagna militare anglo-francese del 2011, cui si associò l’Italia in extremis per tutelare i terminali petroliferi dell’Eni, fu preceduta dalla consueta disinformazione mirata a creare consenso bellico, con l’invariabile demonizzazione del dittatore, grande amico dell’Italia fino al giorno prima, accusato persino di aver fatto scavare inesistenti fosse comuni, evidentemente per occultare i corpi di altrettanto immaginarie stragi di civili.
Sulla Libia, nel 2011 gli Usa si lasciarono ritrarre in posizione più defilata. «La pensavamo come l’Italia: non bisogna intervenire», dice ora a “La7” un super-falco come il politologo Edward Luttwak, che però sui tagliagole mediatici del “Califfato” oggi dice: «Non chiamiamoli Isis, ma Islam: quello è il pericolo da fermare». E’ esattamente la stessa conclusione a cui puntano i macellai parigini di “Charlie Hebdo” e lo stragista solitario danese: il risultato delle loro azioni è la criminalizzazione indiscriminata di tutti i musulmani, verso lo “scontro di civiltà” tanto caro ai signori della guerra, al comando della politica estera Usa a partire dall’11 Settembre. Secondo Gioele Magaldi, autore del libro-denuncia “Massoni”, l’ex presidente francese Sarkozy, che per primo attaccò la Libia bomdardando Bengasi, sarebbe affiliato alla superloggia “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, loggia a cui apparterrebbe anche Tony Blair, l’inventore delle “armi di distruzione di




Jihadisti, oggi Isis


massa” di Saddam. Lo stesso filo rosso-sangue collegherebbe Jeb Bush, possibile candidato alle presidenziali 2016, con lo stesso al-Baghdadi, il leader jihadista in apparenza comparso dal nulla – come Bin Laden – per terrorizzare l’opinione pubblica occidentale.
Nell’immenso caos nel quale è stato precipitato il mondo dopo il crollo dell’Urss, si susseguono ipotesi di spregiudicati complotti – alcuni chiaramente leggibili subito, altri confermati spesso dai fatti a posteriori, da prove e ammissioni – mentre avanza all’orizzonte l’inevitabile collisione geopolitica con la Cina, sempre più prossima a una Russia sfidata in Siria e ora assediata alla frontiera con l’Ucraina. Oltre alla coltre di nebbia stesa dai media e dai tanti “debunker”, gli incursori anti-complottistici impegnati a smontare le accuse più insidiose, restano perfettamente percepibili le trame in corso, soggette poi al vaglio dell’imponderabile, e in particolare le manovre dell’Occidente per incunearsi nella grande faglia che separa i due rami dell’Islam: da Bin Laden in poi, finora l’intelligence atlantica ha puntato sui sunniti, arma letale contro l’Iran sciita e i suoi alleati regionali, come le milizie libanesi di Hezbollah che hanno arginato l’espansione di Israele. Qualcuno si interroga timidamente sull’incognita rappresentata da un Medio Oriente petrolifero colonizzato, razziato, appaltato a dittatori e monarchi filo-occidentali, poi bombardato e massacrato. Nonostante quasi 15 anni di guerre ininterrotte, rovine, vittime e profughi, paesi devastati, “fallimenti” dietro cui si celano lucrosissimi business di armamenti e ricostruzioni, i signori della guerra restano al riparo: nessuno in prima serata si domanda davvero perché tutto questo accada, e il mainstream può persino permettersi di inscenare la “sorpresa libica” dell’Isis, col suo spettacolo dell’orrore.
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TRATTO DA: http://www.libreidee.org/2015/02/la-sensazionale-notizia-della-presenza-dellisis-in-libia/