non dovremmo temere ciò che non conosciamo, ma ciò che riteniamo vero ed invece non lo è
lunedì 7 dicembre 2020
Silvia Romano poteva essere liberata molto prima?
Matteo Viviani e Riccardo Spagnoli raccontano un retroscena sul rapimento di Silvia Romano che se fosse vero sarebbe clamoroso e gravissimo: qualcuno dall’Italia ha frenato la sua liberazione per intascarsi parte dei soldi stanziati per il riscatto?
Dopo avervi raccontato dei troppi misteri nella vicenda del rapimento di Silvia Romano, la volontaria milanese tenuta in ostaggio per 535 giorni tra il Kenya, dove è stata sequestrata e la Somalia, dove invece, è stata liberata, vi mostriamo alcune testimonianze e documenti che, se confermati sarebbero davvero clamorosi.
Matteo Viviani e Riccardo Spagnoli lo fanno intervistando un uomo, che per oltre un decennio ha vissuto e lavorato nelle zone dove è avvenuto il rapimento di Silvia. Un uomo che, il giorno dopo il suo sequestro della ragazza, riceve una chiamata molto particolare. Dall’altra parte della cornetta c’è una persona, che chiameremo “il funzionario”, che dice di essere stato autorizzato a trattare per la sua liberazione e di essere interessato a utilizzare i contatti che Stefano ha nel paese africano.
Poi il funzionario butta lì una strana storia, che non abbiamo ovviamente modo di verificare: Silvia avrebbe avuto un gps inserito nell’orecchino, un microchip che poteva essere monitorato tra l’altro da un sistema satellitare, chiamato Telespazio, in uso anche alla nostra difesa. Un’ipotesi che ci sembra poco credibile e che fa calare drasticamente la credibilità del “funzionario”. Decidiamo quindi di approfondire le ricerche su di lui. Partiamo dal nome e cognome con il quale si è presentato. Sul web scopriamo il volto dell’uomo e troviamo diverse immagini di repertorio, che lo ritraggono in occasione di altri rapimenti di connazionali, accanto ad esponenti politici di alto rango.
Dobbiamo però essere sicuri che quella voce sia davvero la sua quindi troviamo il modo di farci chiamare e, con una scusa, lo teniamo al telefono per qualche minuto, registrando la sua voce che porteremo in un laboratorio di periti fonici che da oltre 30 anni effettua perizie vocali per vari tribunali e procure d’Italia. L’analisi forense parla chiaro, il perito ci dice: “Diciamo che è molto probabile che sia lui…”. Cioè la stessa persona in entrambe le chiamate.
Il contatto tra il nostro testimone e il funzionario prosegue. Il 24 novembre 2018, 96 ore dopo il sequestro di Silvia Romano, l'uomo riceve una nuova chiamata da parte del funzionario, che però non fa più riferimento alla storia dell’orecchino ma dà appuntamento in un luogo vicino Roma, nel quale si sarebbe presentato anche un capitano del Ros, ovvero il reparto operativo speciale dei carabinieri, l'unico organo investigativo dell'Arma che ha competenza sia sulla criminalità organizzata che sul terrorismo.
Un uomo, racconta Stefano, con il quale il funzionario avrebbe dovuto organizzare la liberazione di Silvia Romano. Le circostanze sembrano tornare, perché proprio nei giorni seguenti i telegiornali raccontano l’arrivo in Kenya degli uomini del Ros e non solo: l’incontro tra Stefano, il funzionario e un capitano del Ros avviene il 24 novembre 2018, lo stesso giorno in cui la polizia keniota pubblica le foto dei 3 principali ricercati mettendo sulla loro testa una taglia da 1 milione di scellini ciascuno.
Ma a quel punto però accade una cosa davvero strana: la taglia per i tre ricercati viene aumentata da 1 a 3 milioni di scellini per ciascuno. Una circostanza davvero strana: se come aveva detto il funzionario e la stessa polizia keniota si era ad un passo dalla liberazione di Silvia, perché allora offrire più soldi per trovarla?
Una chiave di lettura per questo controsenso, in parte, la riceve proprio Stefano, quando 4 giorni dopo riceve un messaggio dal funzionario, che fa riferimento proprio a quella strana decisione. “Sono stato costretto ad accettare le idee di altre persone. Altri brillanti consiglieri hanno ritenuto opportuno aumentare le taglie a 3 milioni…In questi casi obbedisco…”
Pare di capire dunque che secondo il funzionario la richiesta di aumentare le taglie sui tre ricercati sarebbe partita direttamente dall’Italia su consiglio di alcuni “brillanti consiglieri”, dei quali però ovviamente non si fa alcun nome. Il messaggio continua e il funzionario sembra scocciato dalla piega che stanno prendendo le cose. I suoi vertici, sostiene, avrebbero accettato di tentare una liberazione seguendo la strada proposta lui ma qualcuno sarebbe intervenuto.
“Anche se ***** aveva accettato di buon gusto la mia ipotesi dopo una riunione con gli altri... ha cambiato parere in quanto si è dovuto allineare con le volontà degli... a che hanno ritenuto mettere in campo AISE”. Vale a dire i servizi segreti italiani che si occupano di ricercare ed elaborare tutte le informazioni utili alla difesa dell’indipendenza, dell’integrità e della sicurezza della Repubblica dalle minacce provenienti dall’estero.
Il funzionario, che da quel che ci risulta non farebbe parte dell’organigramma del Ros, ribadisce di essere lì come “ufficiale pagatore”. Insomma, stando a ciò che scrive funzionario, 8 giorni dopo il rapimento di Silvia, in Italia succede qualcosa, ovvero che vengono messi più soldi sul piatto delle taglie e contemporaneamente sarebbero entrati in gioco i nostri servizi segreti esterni.
I messaggi però vanno avanti e lui con Stefano si dimostra contrariato, perché convinto che con i contatti di Stefano sul territorio keniota si sarebbe potuti arrivare a Silvia pagando le informazioni il giusto, senza buttare via soldi. Soldi che invece, come lui stesso scrive servirebbero in realtà ad altro “come già capitato in altre circostanze non escludo qualcuno che se ne torna a pancia piena”.
Vuole forse dire che c’è il rischio che qualcuno si possa intascare una parte di quei soldi messi in campo per la liberazione di Silvia? Stefano dice a Matteo Viviani: “Così è la sua supposizione, qualcuno avrebbe approfittato di questo movimenti di denari”. Un qualcuno all’interno del territorio italiano, è evidente da quello che scrive”. Ma è davvero possibile che gli interessi economici di qualcuno possano aver influito sul salvataggio di Silvia?
Dopo qualche giorno, siamo arrivati al 4 dicembre 2018, il funzionario torna a farsi sentire, dando a Stefano alcuni particolari riguardanti, con molta probabilità, l’ennesima e imminente operazione per la liberazione di Silvia. “Il contatto col capo della polizia penetra nella foresta, ci danno la certezza..”
La voce è più tranquilla rispetto alle altre volte, anche se ad un certo punto dice di volersi prendere 4 giorni di riposo, di averne bisogno, che tanto “la ragazza sta in buone mani”. E aggiunge: “A livello di coscienza era da intervenire subito per farle passare qualche notte in meno in mano a quella gente… però caro Stefano pensiamo pure ai cazzi nostri…”
Ciò che sostiene Stefano è che quella frase, “la ragazza sta in buone mani “, non vada intesa come “sappiamo dov’è ma aspettiamo a liberarla”, bensì come un “sappiamo che è viva e abbiamo avuto un contatto con i sequestratori”. Il funzionario comunque sembra essere in procinto di organizzare l’ennesima partenza verso l’Africa tanto che chiede a Stefano di rispolverare i suoi contatti in loco.
La sua speranza è che, tramite un gancio di Stefano in Kenya, si potesse individuare la zona dove tenevano nascosta Silvia, cercando nello stesso tempo di aprire un canale di comunicazione con i rapitori. Ma considerando che il funzionario gli aveva appena detto di sapere che “Silvia era in buone mani” non si capisce davvero perché l’uomo avesse bisogno di un’ulteriore possibilità di individuarla.
Stefano chiede però al funzionario che la polizia kenyota non faccia “cretinate”, cioè non mandi a rotoli in qualche modo tutto questo intenso lavoro sottotraccia e allora lui ribadisce di avere tutto sotto controllo. E ad una domanda precisa di Stefano su chi lui sia, fa capire di non appartenere all’Arma dei Carabinieri. “lasciali perdere”. E poi aggiunge: “io sono della parrocchia numero 1”. Che avrà voluto significare?
Il funzionario dice a Stefano “non le abbiamo provate tutte”, facendo forse intendere di avere le mani legate, come se qualcuno o qualcosa ostacoli il suo lavoro. Stefano parla a Matteo Viviani di possibili interferenze da parte della polizia keniota, e del fatto di essere in grado di portare il funzionario direttamente al capo della polizia del paese africano. Qualche giorno dopo, siamo al 10 dicembre, un blogger keniota pubblica per primo una notizia dirompente: l’arresto di uno dei presunti rapitori di Silvia Romano.
E quella stessa sera il funzionario scrive a Stefano una mail molto importante, che probabilmente segna un punto cruciale nella vicenda. “Esco adesso da una riunione ai limiti della diplomazia, così come si usa dire, la notte dei Lunghi coltelli. Ritengo corretto e doveroso aggiornarti su quanto è scaturito da questo incontro .. Vista la situazione che si è venuta a UVB creare su richiesta del ….. e di qualche suo collega pur di evitare imbarazzanti situazioni. Ho convenuto una collaborazione con Aise…”
L’Aise in realtà sarebbe stata già in campo ma il funzionario aveva proseguito il suo lavoro indipendentemente. Motivo per il quale Stefano intanto continua a raccogliere le informazioni per lui e poco dopo gli fa sapere che Silvia sarebbe “rapata” e con una “gamba gonfia”. Un particolare questo che solo Silvia e chi l’ha sequestrata potrebbero confermare ma che da quanto ci risulta non verrà citato su nessuna fonte di stampa fino a Marzo 2019, cioè 3 mesi dopo il messaggio di Stefano.
Deve essere chiaro che questa è la versione dei fatti di Stefano ma è anche vero che i messaggi tra i due, dopo quella famosa mail dove si ribadisce l’entrata in gioco dei nostri Servizi Segreti Esterni, prendono una piega abbastanza particolare… Il funzionario gli scrive un messaggio in lingua swahili, la lingua nazionale del Kenya, in cui dice: “Quando c’è il rumore dei soldi tutto tace”.
Che voleva intendere? Erano forse tutti in attesa del pagamento del riscatto? In quel momento sul campo a seguire le tracce di Silvia c’erano i nostri servizi segreti esterni, c’era il ROS dei Carabinieri, la nostra magistratura, la diplomazia, l’esercito Keniota, la polizia e le guardie forestali. Insomma, come Stefano scrive al funzionario: “troppi a parlare” - “Nel pollaio solo un gallo ci deve stare”.
L’uomo chiede a Stefano un piacere: “Io avrei necessità di riuscire a parlare di nuovo personalmente col vicepresidente…” La voce del funzionario in questa telefonata è molto decisa, sembra ci siano dei problemi, e ha bisogno di un incontro con i piani alti kenioti. Stefano spiega: “Io quello che so è che c’erano parecchie interferenze da parte delle forze di polizia keniote”. Secondo lui infatti, il sistema di pagamento delle informazioni che fino a quel punto si era utilizzato sarebbe andato fuori controllo.
Stefano dice: “Considera che anche le persone in Kenya avevano il loro vantaggio economico… derivante da informazioni, gestione, logistica, e quindi avevano interesse che questa cosa andasse un po’ prolungata nel tempo. Questo è quello che posso pensare io...Lo penso perché è la storia del mondo non l’unico caso dove gli interessi economici hanno prevalso su tante altre situazioni”. Insomma il problema potrebbe essere stato questo cortocircuito pazzesco, che se fosse vero avrebbe lasciato Silvia Romano nelle mani dei rapitori molto più del dovuto.
E il funzionario sembrerebbe spiegarlo bene: “Adesso il casino è la quantità di denaro che tu sai benissimo che è in ballo…” E quando Stefano gli chiede se l’uomo in carcere, uno dei tre sequestratori, collabori, lui risponde in modo secco: “Non lo vogliono far collaborare, capisci?” Ma a quanto direbbe il funzionario, in Kenya non sarebbero stati gli unici a volerci guadagnare dalla liberazione di Silvia. “Perché si sarebbe interrotta la catena di dazioni”, sostiene Stefano, aggiungendo: “si è messa in mezzo tanta di quella gente sia del Kenya che dell’Italia che non te ne rendi conto forse. Ci sta una fila di sciacalli da ambo le parti…”
Il problema però sarebbe nel mancato accordo sui soldi del riscatto, sembrerebbe di capire dalle parole del funzionario del 19 dicembre. Lui con 500mila euro avrebbe liberato Silvia accontentando la richiesta dei rapitori kenioti, ma a quanto riferisce “gli italiani invece vogliono 20 milioni”. Quindi Silvia non sarebbe stata liberata a quell’epoca perché forse dall’Italia qualcuno voleva mettersi in tasca milioni di euro? A quanto ci risulta, dopo questa telefonata, seguono alcuni giorni di silenzio trai due ma il giorno della vigilia, il telefono di Stefano squilla di nuovo.
“Siamo già in territorio di operazione – dice l’uomo -. La polizia ci ha dato già indicazioni sicure. Abbiamo localizzato tutti i loro telefonini, abbiamo localizzato la ragazza, Adesso è una questione di denari e basta”. Quando Stefano chiede al funzionario cosa avrebbero fatto con i rapitori, il funzionario dice: “Abbiamo pattuito che li portiamo via, sani e salvi. Poi li portiamo in Europa, con le famiglie”. “E all’opinione pubblica in Kenya che gli raccontano?” chiede Stefano. “Gli diamo dei corpi di qualche malcapitato che è stato messo al bando, non lo so. È un problema che si sta organizzando la loro struttura”.
Silvia Romano avrebbe potuto essere liberata nel dicembre del 2018? Qualcuno ha ostacolato di fatto la sua liberazione perché interessato ai soldi messi in campo per il suo riscatto? La cooperante, intanto, passerà altri 500 giorni nelle mani dei suoi rapitori…
FONTE: https://www.iene.mediaset.it/2020/news/silvia-romano-liberata-prima_946647.shtml
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