non dovremmo temere ciò che non conosciamo, ma ciò che riteniamo vero ed invece non lo è
martedì 13 settembre 2011
Iraq : Emmanuel Kelly canta "Imagine"
Questo video rappresenta, a mio parere, una sintesi eccezionale di tutto quello che è la società mediatica di oggi.
Da una parte abbiamo il dramma personale – assoluto e incontestabile – di una vittima dell’imperialismo occidentale. Un bambino abbandonato in una scatola di scarpe, nato deforme a causa dei bombardamenti all’uranio impoverito effettuati durante la Prima Guerra del Golfo. (C'eravamo anche noi, non dimentichiamolo).
Poi abbiamo l’avventura umana di Moira Kelly, una donna eccezionale che ha dedicato la sua vita ad aiutare migliaia di vittime dell’ingiustizia e delle guerre nel mondo, come Emmanuel e suo fratello. Dopo aver lavorato con Madre Teresa, la Kelly ha promosso diversi interventi umanitari su larga scala, che le sono valsi svariati premi e riconoscenze.
Ed è qui che termina la vicenda individuale di queste persone, ...
... e scatta la cosiddetta “macchina mondiale della compassione”. Migliaia di organizzazioni “nobili” che vanno dall’UNICEF al WWF, da Amnesty International fino a “Salviamo le trote del Monferrato”, che si accapigliano per avere finanziamenti statali e internazionali, spesso – ma non sempre – con intenti sinceri, ma che di fatto svolgono una funzione riparatrice a livello morale, verso i responsabili di quei crimini, prima ancora di farlo a livello materiale, verso le vittime dei crimini stessi.
In questo senso Emmanuel Kelly rappresenta la quintessenza del “male” che l’occidente perpetra ai danni del terzo mondo, per mantenere egoisticamente uno standard di vita decisamente superiore a quello di tutti gli altri. L’intervento umanitario di Moira Kelly diventa quindi anche un intervento riparatore da parte nostra, che sappiamo inconsciamente di essere i responsabili ultimi della disgrazia di quel ragazzo.
Ma questo processo collettivo di “autoassoluzione” non sarebbe possibile senza l’intervento dei media, che fanno appunto da “mezzo”, o tramite, per collegare il carnefice alla sua vittima.
Il palcoscenico di “X-Factor” diventa così un moderno altare dell’olocausto: la macchina mediatica “accoglie” generosamente il povero Emmanuel, gli offre la possibilità di cantare la sua sete di giustizia, e premia il suo coraggio con un prolungato applauso, commosso e caloroso.
Grazie alle più smaliziate tecniche di montaggio la macchina mediatica costruisce poi un package irresistibile, nel quale gli elementi drammatici vengono sottolineati, esasperati, o persino creati ex-novo [credetemi, ve lo dice chi di montaggio se ne intende], ottenendo così la massima fruibilità televisiva a livello mondiale.
Questo naturalmente non toglie nulla al dramma personale di Emmanuel, o all’avventura umana di Moira Kelly, e le lacrime che fatichiamo a trattenere per loro sono lacrime genuine, e del tutto giustificate.
Quello che ci sfugge di mano è la funzione ultima di quelle lacrime, poichè rischiamo di annegare in un fazzoletto bagnato ciò che dovrebbe diventare invece una decisa richiesta collettiva, diretta ai nostri governanti, di mettere immediatamente fine a tutte le guerre nel mondo.
Nel momento in cui piangiamo per Emmanuel, ma poi non alziamo la voce per fare quella richiesta, diventiamo comunque complici della sua disgrazia. Se invece decidessimo fin da ora di non votare nessun partito che non si impegnasse chiaramente a ritirare le nostre truppe dai vari teatri di guerra, avremmo trasformato quelle lacrime in qualcosa di utile per il futuro dell’umanità.
La televisione è un mezzo poderoso, capace di un tale impatto emotivo da poter mettere fine ad una guerra, come nel caso del Vietnam, oppure di giustificarne subliminalmente una, come nel caso “catartico” di Emmanuel.
Sta a noi fare la differenza.
Massimo Mazzucco
Fonte: http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=3836
Iscriviti a:
Post (Atom)