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martedì 21 novembre 2023

ANIMA MUNDI: IL FUOCO SACRO DEL RINASCIMENTO – PARTE I

Inserito da Nicola Bizzi
L’Anima del Mondo (in Greco Ψυχὴ Κόσμου, Psychè Kósmou, nota anche in Latino come Anima Mundi) è un concetto filosofico usato dai Platonici per indicare la vitalità della natura nella sua totalità, assimilata a un unico organismo vivente. Rappresenta il principio unificante da cui prendono forma i singoli organismi, i quali, pur articolandosi e differenziandosi ognuno secondo le proprie specificità individuali, risultano tuttavia legati tra loro da una tale comune Anima Universale. Il Rinascimento, sotto la spinta di antiche scuole misteriche ed iniziatiche sopravvissute per secoli alle persecuzioni della Chiesa, ha tentato di riconnettere l’umanità con tale Anima Universale. Come ho più volte evidenziato nei miei saggi e nell’ambito di una ricerca ormai più che trentennale, la vera storia del Rinascimento deve essere ancora pienamente scritta, ed è ben lungi dall’essere stata realmente compresa e indagata. Nonostante le migliaia di pubblicazioni di carattere internazionale – peraltro sempre in costante aumento – e un rinnovato e crescente interesse mediatico nei confronti di una delle epoche più interessanti e intellettualmente stimolanti della storia umana, possiamo tranquillamente affermare che non esista un periodo storico più idealizzato, mitizzato, stereotipato, e al contempo travisato e mistificato (con un impressionante carico di omissioni e di zone d’ombra) di quello che caratterizzò le vicende italiane ed europee tra la fine del Medio Evo e l’inizio della cosiddetta Età Moderna. Fin da quando lo storico francese Jules Michelet per primo coniò, nel 1855, in riferimento alla «scoperta del mondo dell’Uomo», il termine “Rinascimento” (anche se, in realtà, di “rinascita” già parlava Giorgio Vasari nelle sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori), grande è stata la diffusione di una simile definizione e, da quando lo storico svizzero Jacob Burckhardt, nel 1860, approfondì e connotò ulteriormente il significato del termine, descrivendolo come «quella fase storica che, dopo un lungo periodo di oscura decadenza, diede vita alla coscienza e all’umanità moderne»[1], fiumi d’inchiostro sono stati versati come una piena inarrestabile. Ancora oggi, a un secolo e mezzo di distanza dagli studi di Michelet e di Burckhardt, anche se sono stati fatti passi da gigante per approfondire e indagare molteplici e importanti aspetti delle vicende e degli eventi di quel periodo, sia nel campo storiografico e storico-artistico (basti citare i fondamentali studi di Aby Warburg) che riguardo alla storia sociale ed economica del XV° e XVI° secolo, l’immagine correlata al periodo storico post medioevale che il termine “Rinascimento” include, incarna e definisce è ancora fondamentalmente imperniata sulla strada tracciata dagli studi storiografici dell’Ottocento. Non che essi non siano importanti ed accurati – non mi si fraintenda, sono pur sempre oro rispetto a certa saggistica contemporanea! – ma, oggettivamente parlando, c’è da chiedersi se abbia ancora un senso perdersi in sterili dibattiti su ipotetiche o presunte date di inizio o fine del Rinascimento o sull’altrettanto sterile questione se esso sia da considerare come un momento di rottura, o viceversa come una fase di proseguimento rispetto al Medioevo. A che cosa possono mai servire o giovare ad un’autentica ricerca storica a 360 gradi i dibattiti e gli scontri tra tesi della “continuità” e della “discontinuità”, se si continua a perdere di vista, o a non comprendere affatto, la vera natura e le origini più profonde del Rinascimento? Già nel 2019, nel mio saggio Camillo Agrippa, la quintessenza del Rinascimento[2], focalizzavo l’attenzione su quanto il Rinascimento italiano sia noto e celebrato a livello internazionale, ma in realtà per niente compreso nella sua più intima e reale essenza. Se da un lato, infatti, può fare indubbiamente piacere e ci può riempire di orgoglio il fatto che indiscussi protagonisti di quest’aurea stagione e del Genio Italico come Leonardo Da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio o Sandro Botticelli siano universalmente noti e fatti oggetto di esposizioni internazionali, innumerevoli studi e pubblicazioni e corsi di laurea in tutti i continenti, o addirittura immortalati in (seppur dubbie e alquanto discutibili) serie televisive americane, come nel caso di Lorenzo il Magnifico, da un altro lato dobbiamo necessariamente soffermarci ad una amara constatazione: il Rinascimento ha avuto molti altri protagonisti di assoluta genialità, uomini che, per quanto con le loro opere, teorie, creazioni, intuizioni, scoperte ed invenzioni abbiano contribuito in maniera determinante a traghettare la società europea dal Medio Evo all’Età Moderna, sono stati ingiustamente e miseramente condannati all’oblio, o – nel migliore dei casi – ricordati saltuariamente e sporadicamente nelle enciclopedie come personaggi “minori”. Potrei fare a riguardo molti nomi, da Matteo Palmieri a Coluccio Salutati, da Luca Pacioli a Ciriaco d’Ancona, da Benedetto Varchi a Camillo Agrippa, da Giovanni Augurelli a Pietro Bembo, da Lorenzo Valla a Bernardino Telesio, da Girolamo Rorario a Michele Marullo, da Paolo Dal Pozzo Toscanelli a Marcello Palingenio Stellato, da Francesco Da Meleto a Niccolò Della Luna, da Cosma Raimondi a Guarino Veronese, da Bartolomeo Sacchi a Giulio Pomponio Leto. E mi fermo qui, perché qualunque possibile elenco con un minimo di pretesa di completezza occuperebbe necessariamente un enorme numero di pagine. Ma non è questo il punto. Tralasciando la questione del “Rinascimento vetrina” presentato ad uso e consumo di frettolosi turisti dall’indecente livello culturale e cognitivo, sulla quale è assai meglio tacere, in nessuna guida turistica o saggio di grande divulgazione trova spazio un seppur semplice e banale interrogativo: i protagonisti di questa straordinaria stagione, che con le loro opere e creazioni in campo artistico, architettonico, filosofico e letterario hanno lasciato un segno indelebile del loro passaggio decretando la nascita di una nuova era, al di là del mecenatismo che poteva caratterizzare alcune corti italiane, hanno agito d’impulso, in maniera isolata e casuale, oppure erano guidati e indirizzati da qualcuno o qualcosa? Ebbene, in questa mia riflessione tenterò di fornire una risposta a tale spinosa domanda. Quello che la stragrande maggioranza degli storici ignora (o talvolta finge, colpevolmente, di ignorare) è che quella grande stagione che, partendo dall’Italia come un moto inarrestabile, dilagò in tutta Europa, determinando, in aperta sfida a Santa Romana Chiesa, al Tomismo e agli steccati di una certa Scolastica pseudo-aristotelica, la riscoperta dei temi della classicità greca e romana e quella rinascita della Filosofia platonica, della Maieutica, delle Arti, delle Scienze e delle Coscienze, condizionando in maniera tangibile e irreversibile tutti i secoli a venire e aprendo la strada all’Età Moderna, fu tutt’altro che un frutto del caso. Il Rinascimento fu, infatti, al di là di una naturale evoluzione socio-culturale innestatasi con l’Umanesimo, anche e soprattutto l’attuazione di un plurisecolare progetto portato avanti da antichi ordini misterici ed iniziatici pre-cristiani, entrati nell’ombra sul finire del IV° secolo con la forzata imposizione teodosiana della dottrina paolina e sopravvissuti, alla stregua di un silente fiume carsico, per tutto il corso del Medio Evo, fino a riaffermare, con forza e con vigore, la loro presenza e identità alle soglie del XV° secolo. Un progetto che è stato con forza e determinazione attuato anche – e soprattutto – grazie all’affermazione politica ed economica di un novero di famiglie iniziatiche che a tali ordini e tradizioni erano a doppio filo legate. Mi riferisco ai Medici, agli Este, ai Gonzaga, ai Montefeltro, ai Da Malatesta, ai Da Varano, etc, etc.
Giorgio Vasari: Sei Poeti Toscani, 1544 (Minneapolis, Minneapolis Institute of Art) Autori come il filosofo Julius Evola, che ancora oggi vengono tenuti in gran considerazione da certi ambienti tradizionalisti che ritengono di possedere l’autentica chiave interpretativa delle vicende e della storia del Medio Evo e del Rinascimento, hanno solo contribuito a mio parere a generare confusione e a distogliere l’attenzione da una realtà che a molti – forse troppi, a cominciare dalla Chiesa – conviene ignorare o mantenere sepolta. Nel suo saggio Rivolta contro il mondo moderno, nel capitolo intitolato Tramonto dell’ecumene medievale, il “barone” siciliano scrisse testualmente: «Nella Rinascenza la ‘paganità’, in realtà, valse essenzialmente a sviluppare la semplice affermazione dell’Uomo, a fomentare una esaltazione dell’individuo, il quale passa ad inebriarsi delle produzioni di un’arte, di una erudizione e di una speculazione prive di ogni elemento trascendente e metafisico»[3]. Niente di più falso e fuorviante! L’amico Luca Valentini, grande studioso di tradizione esoterica, nella sua prefazione al mio saggio Camillo Agrippa, la quintessenza del Rinascimento[4], si è posto su questa vexata quaestio dei legittimi interrogativi: «La Rinascenza può essere considerata un’epoca di rinascita spirituale e specificamente arcaica, oppure può essere accolta la critica tradizionalista secondo cui con l’Umanesimo Rinascimentale essa non ripropose i grandi insegnamenti dell’antichità classica, ma tutte quelle anomalie filosofico-letterarie, dal sofismo all’atomismo democriteo, che la medesima civiltà greco-romana rigettò come pure deviazioni, affermandosi un modus vivendi che, filosoficamente, può essere associato e identificato all’Individualismo?»[5]. E ancora: «L’Umanesimo si oggettivizzò come una mera somma di individui, senza una reale eticità, senza un’idealità che possa condurre l’indi-viduo al di là dei propri angusti ambiti, verso la riscoperta di un’aristocratica personalità? Fu il germogliare della modernità, la culla dell’umano, il troppo umano “nietzschiano”, o l’epoca di una sterile imitazione, senza forma?»[6]. «É innegabile – afferma in risposta lo stesso Valentini – quanto esposto dalla morfologia della Storia e dell’Arte circa la criticità della formazione, tra Medioevo, Umanesimo e Rina-scimento, dell’Era Moderna, ma è altresì incontestabile come presso alcune corti, come quella fiorentina dei Medici o quella ferrarese dei D’Este, vi sia stata traccia di una tradizione sotterranea che dall’antichità si è perpetuata, in cui vene occulte di una sapienza iniziatica hanno perdurato nonostante l’andamento decadente di un’intera epoca storica»[7]. Osserva sempre Valentini che, «Come testimoniano i diversi studi sulla criticità simbolica di alcune opere pittoriche o letterarie rinascimentali, un doppio significato spesso si cela nell’interpretazione di ogni singolo, come risvolti spesso ambigui, duali e contrapposti, proprio perché la simbolica in sé rappresenta un viatico animico tramite cui si esplicita la propria qualità interna, determinando trasfigurazioni verso i cieli uranici oppure, contemporaneamente, naufragi nell’indeterminato materialismo sensista. È, infatti, nella sintesi tutta rinascimentale di mistica islamica, di cabala ebraica e cristiana, di gnosi e teurgia pagana, in autori come Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, nelle accademie platoniche non solo fiorentine, ma anche in quella romana di un Pomponio Leto¹°, che si possono ritrovare le tracce di una misteriosofia che da sempre e non meno nella fase storica considerata conducono ad divinificazione dell’uomo»[8].
Francesco Del Cossa: Dettaglio dell’affresco del mese di Aprile, 1470 ca. (Ferrara, Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi) Osservazioni, queste, dal mio punto di vista ovvie, oserei dire lapalissiane. Eppure, nella stragrande maggioranza dei saggi e degli studi storici sull’Umanesimo e sul Rinascimento, con le debite eccezioni di valenti ricercatori quali Edgar Wind, Diego Baratono, Claudio Piani, Monica Centanni, Anna Maria Partini, Paola Maresca, Sandra Marraghini o Bruna Rossi, non vengono mai affrontati gli aspetti della “paganità” e della misteriosofia della cultura rinascimentale e, quando vengono di sfuggita, o con mal celato imbarazzo, affrontati, spesso li si riduce a mero folklore o a una “moda”, svilendoli a bizzarre curiosità o capricci di annoiati artisti o signori delle corti italiane quattro-cinquecentesche. Questo non avviene solo negli studi più propriamente accademici e universitari, un terreno in cui le omissioni riguardo a determinati argomenti e prospettive di ricerca sono di fatto una regola imposta dall’alto, un paradigma -, ma lo si riscontra incredibilmente anche in una certa saggistica storica destinata al vasto pubblico. Solo per citare un esempio, uno scrittore popolare e pluripremiato come il britannico Paul Strathern, autore di best seller internazionali sul Rinascimento e sulla storia dei Medici (testi peraltro storicamente ben documentati), mai dedica un solo rigo agli interessi esoterici o all’appartenenza iniziatica di un tale signore o di un tale artista. Possiamo parlare di casualità? Certo che no! Dovremmo semmai parlare di colpevole e intenzionale omissione, di omertà storica, con tutte le conseguenze del caso. Anche perché, trattando di Rinascimento – e qualsiasi storico, anche il più sprovveduto, lo sa – è praticamente impossibile non imbattersi in fatti, circostanze, episodi e situazioni dal risvolto esplicitamente esoterico, misteriosofico ed iniziatico. Come da diversi anni spiego e documento nei miei saggi, la questione della sopravvivenza e della perpetuazione in clandestinità, in forma organica e organizzata, di alcuni filoni della Tradizione Misterica pre-cristiana, e di quella Eleusina in particolare, dall’antichità fino ad oggi attraverso un filo ininterrotto, non è assolutamente – come è stato erroneamente da alcuni sostenuto – una mera ipotesi. Si tratta di vicende storiche comprovate e documentabili che hanno del resto interessato anche altre tradizioni “pagane”, in primis il Pitagorismo (Jean Marie Ragon, che fu sia un Libero Muratore che un Iniziato eleusino, ha notoriamente documentato, ad esempio, tutta la storia della perpetuazione dell’Ordine Pitagorico, dal V° secolo d.C. fino alla seconda metà del XIX° secolo[9]), l’Eleusinità Orfica (che si è tramandata segretamente anche all’interno di alcuni ordini monastici, fra cui i Camaldolesi) e altre realtà quali i culti misterici egizi di matrice alessandrina e tolemaica (i Misteri di Iside e Osiride e quelli di Serapide) e l’Ermetismo. Si tratta di vicende storiche che in Massoneria, a determinati livelli, sono ben note, anche se – incomprensibilmente – anche in tali ambiti non se ne parla molto. Ma, parallelamente, si tratta di una questione che, in un ambito storico ed accademico quale quello occidentale, pervaso e inevitabilmente segnato nel profondo da due millenni di imperante cultura giudaico-cristiana, ha sempre rappresentato una sorta di “tabù”, un limite invalicabile. Molti grandi storici e ricercatori, fra i quali possiamo annoverare Eugenio Garin, Miles Unger, Frances Yates, Károly Kerényi, Mircea Eliade o Walter Burkert, si sono spesso trovati davanti alla verità, intravedendone la portata. Ma, rendendosi conto che potevano ritrovarsi ad avere a che fare con un quadro d’insieme non solo estremamente complesso ma anche potenzialmente esplosivo e pericoloso – un quadro d’insieme che probabilmente travalicava non la loro comprensione, bensì i limiti stessi della loro formazione culturale e della loro forma mentis – hanno preferito non affrontarlo frontalmente, scegliendo più comodamente di aggirarlo. Ma – la Storia ce lo insegna – una montagna non la si può scalare limitandosi a dare colpi di piccozza alle sue falde e ignorandone la cima, come del resto il Sultano Mehmet II° non ha conquistato le poderose mura di Costantinopoli praticando con un trapano manuale piccoli forellini sul loro basamento!
Pontormo: Ritratto di Cosimo il Vecchio de’ Medici, 1518 (Firenze, Galleria degli Uffizi) In particolare, Frances Yates e Eugenio Garin questa simbolica vetta sono riusciti a scorgerla, ma, per tutta una serie di ragioni solo a loro note (ma che noi possiamo legittimamente intuire), hanno deliberatamente scelto di non scalarla del tutto, preferendo adagiarsi sui suoi contrafforti. La Yates, valente studiosa ma con alcuni limiti interpretativi, si è adagiata su un contrafforte chiamato “Ermetismo”. E vi si è adagiata talmente bene che ha finito per vedere la mitica e mitizzata figura di Ermete Trismegisto e le dottrinine ad essa attribuite un po’ ovunque, interpretando in chiave ermetica scritti, vicende e fatti storici che con l’Ermetismo in realtà niente (o comunque poco) hanno mai avuto a che fare, o bollando come “ermetisti” grandi personaggi e iniziati del passato che in realtà seguivano e praticavano ben altre dottrine, da quella Pitagorica, a quella Orfica, da quella Isiaca a quella Eleusina. Eugenio Garin ha invece, a mio parere, – e lo si intuisce chiaramente dai suoi numerosi libri – ben compreso l’altezza e le dimensioni della vetta che si proponeva di scalare, ma ne ha anche compreso l’intrinseca pericolosità. Tradotto in termini meno metaforici, ha saputo pienamente comprendere la realtà della sopravvivenza in forma organica e organizzata della Tradizione Misterica pre-cristiana attraverso il Medio Evo e il Rinascimento, ma ha anche compreso quanto il riportare alla luce del tutto una simile realtà potesse mettere a repentaglio la sua carriera universitaria e la sua reputazione di accademico. Una libera scelta, la sua (anche se discutibile), per rimediare in parte alla quale ha comunque voluto inserire nei suoi numerosi saggi sull’Umanesimo e sul Rinascimento dei fugaci ma chiari segnali che attestano quanto avesse realmente compreso la questione. Come a dire: «So, ma devo tacere. In quale Loggia o Oltretevere, qualcuno potrebbe non gradire ciò che potrei scrivere o affermare…». E, come è quindi da riscrivere l’autentica storia del Rinascimento, lo è anche quella di molti dei suoi principali protagonisti, da Cosimo de’ Medici a Coluccio Salutati, da Marsilio Ficino a Agnolo Poliziano, da Giovanni Pico Della Mirandola a Girolamo Benivieni, da Pier Vettori a Leon Battista Alberti, fino ad arrivare a Ludovico Ariosto, Niccolò Machiavelli, Amerigo Vespucci, Michelangelo Buonarroti, Sandro Botticelli, Ambrogio Traversari, Matteo Palmieri, Pomponio Leto, Giorgio Vasari, Leonardo Da Vinci, Niccolò Copernico e centinaia di altre figure che hanno fatto la storia di quella straordinaria stagione. Edgar Wind, nel suo capolavoro Misteri pagani nel Rinascimento, riporta un commento di Lorenzo de’ Medici ai sonetti di Pico della Mirandola, in cui i temi classici ed iniziatici di Thanatos ed Eros ritornano con una precisa e specifica profondità: «Questa medesima sentenzia pare che abbino seguito Omper, Virgilio e Dante, delli quali Omero manda Ulisse appresso agl’inferi, Virgilio Enea, Dante se medesimo per lustrare lo inferno, per mostrare che alla perfezione si va per queste vie»[10]. Similmente, come osserva Vladimiro Zabugbin, è nell’insegnamento accademiale di Pomponio Leto che si esplicita come l’amplesso sacrale tra la deità egizia di Serapide, rappresentato da un bue, e Iside, quale Luna eterica, rappresentata da una vacca, rappresentasse la mistica unione delle forze antagoniste del cosmo, «il cui connubio è origine d’ogni cosa nata»[11]. Ma né Wind né Zabugbin hanno mai trovato il coraggio di affermare esplicitamente che non solo i culti ed i riti misterici di Iside, Osiride e Serapide erano ampiamente praticati nelle corti italiane del Quattrocento, ma che addirittura, negli ultimi anni di quel secolo, uno Hierofante isiaco catalano, Roderic Llançol de Borja, ascese al Soglio di Pietro con il nome di Alessandro VI° appena quattro mesi dopo l’assassinio di Lorenzo il Magnifico. Ma del resto, non molti anni dopo, anche i Medici (che erano depositari di una tradizione iniziatica Eleusina di rito Orfico), avrebbero visto due loro esponenti di primo piano regnare sulla Chiesa: Leone X° e Clemente VII°, ovvero Giovanni de’ Medici, figlio del Magnifico, e Giulio de’ Medici, figlio di Giuliano, il fratello di Lorenzo rimasto notoriamente vittima della Congiura dei Pazzi. Una cospirazione, quest’ultima, maturata non solo per le ben note ragioni economiche e geo-politiche solitamente citate dagli storici, ma anche e soprattutto nel contesto di una guerra sotterranea senza quartiere tra ordini iniziatici. Giorgio Gemisto Pletone, Gran Maestro dell’Ordine Pitagorico, ritratto in una miniatura del proemio “Ad Magnanimum Laurentium Medicem Patriae Servatorem” delle Enneadi di Plotino, tradotte in Latino da Marsilio Ficino (ms. Plut. 82.10, fol. 3r), 1490 (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana)
L’odio anti-mediceo di certi circoli pitagorici fiorentini, ad esempio, aveva radici assai antiche, che andavano ben oltre la difesa degli ideali repubblicani, e si era espresso in tutta la sua virulenza proprio in episodi quali la Congiura dei Pazzi, il voltafaccia del pitagorico Federico da Montefeltro (che di tale congiura, insieme al Papa Sisto IV°, fu il vero regista), il tentativo (fallito) di assassinare Piero il Gottoso e gli omicidi (quelli, invece, andati a segno) di Michele Marullo, Agnolo Poliziano, Pico della Mirandola e Lorenzo il Magnifico (che fu avvelenato dal proprio medico curante, anche se già aveva un piede nella fossa per la gotta). Non c’erano in ballo solo questioni economiche, come molti storici profani hanno sempre sostenuto. In ballo c’erano anche e soprattutto conoscenze segrete, il possesso di determinati testi e oggetti “di potere” e, ovviamente, un diverso approccio nella gestione della sfera politica. I Medici, fin dai tempi di Gianni di Bicci e del cancelliere della Repubblica Fiorentina Coluccio Salutati, avevano abbracciato e incarnato con convinzione e determinazione le dottrine dell’Eleusinità Orfica, le quali hanno condizionato per secoli – quantomeno fino a Ferdinando II° – buona parte del loro operato, sia sul piano artistico-culturale che politico. Ma di questo, statene pur certi, nessuno storico accademico oserà mai parlarvi. Come spiego nel primo volume del mio saggio Da Eleusi a Firenze: la trasmissione di una conoscenza segreta[12], il Rinascimento italiano non è stato, semplicisticamente parlando, solo una mera evoluzione dell’Umanesimo tardo-medioevale ed una “casuale” e “fortuita” riscoperta delle lettere classiche e della Filosofia accompagnata da uno straordinario fiorire delle arti, della scienza e della cultura. Esso è stato, anche e soprattutto, una palese prova di forza di tenaci Tradizioni misteriche e iniziatiche che hanno saputo perpetuarsi in maniera ininterrotta, attraversando indenni la terribile era delle persecuzioni dei Cristiani nei confronti di tutte le altre religioni, la forzata imposizione del Cristianesimo e della sua concezione assolutistico-patriarcale della società quale unico culto legittimo e riconosciuto dell’Impero e i secoli bui del Medio Evo, fino a riemergere e a riesplodere in tutto il loro splendore nel XV° secolo, con la piena affermazione dei principî e degli ideali umanistici. E fra queste esercitò un ruolo di primo piano la Tradizione Misterica Eleusina, la più veneranda e longeva Tradizione religioso-filosofico-sapientale dell’antichità, sia nella sua forma “Madre” che nelle sue derivazioni “Figlia” (Orfica, Samotracense, Pitagorica, etc.). Quella stessa Tradizione che era tenacemente sopravvissuta alla scomparsa dell’Impero Minoico prima e, circa tre secoli dopo, anche alla caduta di Troia, e che da uno status “alla luce del sole” era divenuta misterica per proteggersi e tutelarsi dopo il suo trasferimento ad Eleusi, e che ha saputo altrettanto tenacemente sopravvivere, entrando in clandestinità al culmine delle spietate persecuzioni cristiane del IV° e V° secolo, arrivando pressoché intatta, attraverso il Medioevo, il Rinascimento e l’Età Moderna, fino ai nostri giorni. Costituisce quindi un dato di fatto, ben inquadrabile e perfettamente documentabile, la persistenza di filoni di antiche tradizioni misteriche ed iniziatiche pre-cristiane che hanno saputo sopravvivere e perpetuarsi, tramandando, sia in elitarie cerchie segrete che in determinati ambiti familiari, il loro bagaglio di tradizioni, valori, ritualità e conoscenze. E il Rinascimento italiano è stato la principale e più palese prova di forza di queste tenaci tradizioni. Quella straordinaria stagione nota come Rinascimento, infatti, trasuda a piene mani Eleusinità, Orfismo, Pitagorismo, Ermetismo e Tradizione Misterica nel senso più ampio e profondo del termine da tutte le varie espressioni che l’hanno caratterizzata: dall’Arte alla Letteratura, dalla Filosofia fino all’Architettura e alla Scienza: dai dipinti di Piero Della Francesca, di Raffaello Sanzio, di Masolino da Panicale, alle grandiose realizzazioni architettoniche di Leon Battista Alberti; dai trattati di Giorgio Gemisto Pletone, Marsilio Ficino, Giovanni Pico Della Mirandola, Matteo Palmieri, Tommaso Campanella e Giordano Bruno, ai poemi e alle opere di Michele Marullo, Torquato Tasso, Celio Calcagnini e Ludovico Ariosto; dal genio universale di Leonardo Da Vinci alla scienza rivoluzionaria di Galileo Galilei o di Copernico. I principali protagonisti e fautori del Rinascimento furono infatti tutti dei grandi Iniziati, depositari di una sapienza arcana, come lo furono del resto le più importanti famiglie italiane di quel tempo, a partire proprio da quella dei Medici a Firenze, da quella dei Gonzaga a Mantova, da quella degli Este a Ferrara, da quella degli Sforza a Milano, da quella dei Montefeltro a Urbino o da quella dei Da Varano a Camerino. Famiglie che erano depositarie e custodi, da innumerevoli generazioni, di filoni di una Tradizione che, beceramente e spregiativamente, è stata dalla Chiesa definita come “pagana”. Ma stiamo parlando di una Tradizione sulla quale, come giustamente sottolineava il grande Iniziato fiorentino Arturo Reghini, poggiano le stesse basi della più autentica cultura europea e occidentale. Una cultura, quella occidentale, che non ha affatto un’anima “giudaico-cristiana”, come molti soloni contemporanei amano a sproposito affermare, bensì una siffatta corazza esteriore che le è stata imposta attraverso i secoli con la violenza e la sopraffazione, ma che non è riuscita – né mai riuscirà – a permeare il profondo del suo nucleo[13]. Stiamo parlando di una Tradizione che, come ho avuto modo di documentare nei miei libri, ha saputo del resto a più riprese infiltrarsi e proliferare anche all’interno della stessa Chiesa, dagli ordini monastici fino alle più alte sfere (Basilio Bessarione docet), arrivando addirittura – e la cosa non deve stupire – ad esprimere quattro Pontefici! Si tratta di una storia complessa e articolata e non stupisce che sia fino ad oggi stata taciuta dagli storici. Una storia che, come potrete immaginare, parte da lontano, da molto lontano. Le Scuole Misteriche degli Eleusini Madre, sopravvivendo alle persecuzioni cristiane del tardo Impero Romano ed entrando necessariamente in clandestinità per continuare ad esistere e a perpetuarsi, hanno tramandato e preservato nel corso dei secoli un vastissimo patrimonio di antichi testi e documenti rimasti fino ad oggi del tutto sconosciuti al mondo profano. Testi e documenti che erano in origine custoditi nelle biblioteche e negli archivi del Santuario Madre di Eleusi e delle sue scuole sacerdotali, nonché di altri importanti Templi e Santuari dell’Eleusinità in Grecia, in Asia Minore, in Egitto, in Italia e in altre regioni del mediterraneo, e che sono stati salvati dalla distruzione e messi in sicurezza da solerti Sacerdoti ed Iniziati, spesso al rischio della propria vita. Mappa di Alessandria d’Egitto al tempo di Ipazia (IV°-V° secolo). Si notino sulla destra il Tempio di Demetra e Kore-Persefone, la cosiddetta “Pianura Eleusina” e il grande Complesso Sotterraneo Eleusino
Quando i Cristiani presero a Roma il potere politico, arrivando ad acquisire saldamente nelle loro mani le redini dell’Impero, è tristemente noto che da perseguitati si trasformarono in persecutori e intrapresero una serie di crescenti azioni discriminatorie nei confronti di tutte le altre dottrine, tradizioni e religioni che fino a quel momento erano state pienamente tutelate dalle autorità e dalle istituzioni dello Stato e avevano pacificamente convissuto per secoli all’insegna della tolleranza, del reciproco rispetto e del Mos Maiorum, che rappresentava uno dei cardini dell’Impero stesso e dell’universalità romana. A partire dal IV° secolo d.C., e soprattutto dopo la promulgazione, nel 380 d.C., da parte di Teodosio e di Graziano del famigerato editto di Tessalonica che imponeva il Cristianesimo quale unica religione, vietando di fatto a tutte le altre di continuare ad esistere, buona parte del mondo allora conosciuto si apprestava così a cadere in un’assolutamente inedita morsa di pensiero unico, esclusivo ed ottenebrante, e a scivolare sotto una pesante cappa di intolleranza e di persecuzioni. Da Teodosio in poi, tutto ciò che era riconducibile alla religiosità ed alla spiritualità tradizionali, dalle opere d’arte all’architettura sacra, dalla Filosofia alla letteratura, fino alle semplici espressioni della antica religiosità popolare, venne spregiativamente bollato come “pagano” e di fatto vietato, distrutto, sottoposto a censure e a damnatio memoriae. La triste vicenda della distruzione del Serapeo di Alessandria e della sua celeberrima Biblioteca e dell’assassinio di Ipazia, straordinaria figura di Iniziata eleusina e di eminente filosofa e scienziata, barbaramente violentata e massacrata da monaci cristiani agli ordini del Patriarca alessandrino Cirillo – oggi venerato dalla Chiesa come Santo! – è solo il caso più noto di una lunga e interminabile scia di sangue e di repressione che si protrasse per secoli. Ovunque, dal IV° fino al VII° secolo inoltrato, sia in Oriente che in Occidente, i Templi vennero saccheggiati, incendiati ed abbattuti, i Sacerdoti martirizzati e le biblioteche date inesorabilmente alle fiamme. La cultura, la Storia ce lo insegna, è sempre stata la prima vittima dell’odio e dell’intolleranza. La perdita del patrimonio culturale e religioso della classicità greco-romana fu a quel tempo veramente immensa, incalcolabile, ed è stato stimato che sopravvisse e si sia conservata soltanto una minima parte della letteratura antica, compresa quella di carattere scientifico e religioso. Di fronte al lento e inesorabile soccombere di un modello di civiltà che aveva garantito per secoli la pluralità del pensiero e la piena libertà di culto e di espressione, e alla sistematica distruzione di Templi, Santuari e Biblioteche, la maggior parte delle antiche religioni e tradizioni misteriche, in primis quella Eleusina (sia nella sua espressione Madre che in quelle da essa derivate, ovvero quella Orfica e quella Samotracense), ma anche quella Pitagorica, quella Isiaca, quella Mithraica ed altre minori, non tardarono a comprendere che la via della clandestinità sarebbe stata l’unica percorribile per salvare il salvabile. Beninteso, non tutte le religioni misteriche dell’antichità riuscirono a salvare allo stesso modo le proprie istituzioni e il proprio patrimonio testuale e sapientale, o comunque non tutte ebbero i mezzi, il tempo, le possibilità e le risorse necessarie per poterlo fare, entrando nella clandestinità in un drammatico momento storico in cui era divenuto estremamente pericoloso professare – financo in privato e fra le mura domestiche – la propria fede e la propria religiosità. Alcune tradizioni, infatti, non ressero all’urto delle persecuzioni e alla violenza della campagna repressiva cristiana e, vedendo arrestata, imprigionata o sterminata la maggior parte dei propri vertici e della propria classe sacerdotale, finirono per disperdersi o per dissolversi. Ad altre andò sicuramente meglio all’inizio, ma non riuscirono comunque a perpetuare e a trasmettere il proprio patrimonio di valori e di conoscenze per un lasso di tempo superiore a quello di alcune generazioni, o comunque per non più di pochi secoli, finendo per esaurirsi o per essere assorbite da alcune fra le tante correnti ereticali cristiane, in particolare da quelle del filone dello Gnosticismo. Diverso però fu il caso degli Eleusini Madre, da un lato, e degli Eleusini Pitagorici, dall’altro, la cui sopravvivenza in clandestinità è da più fonti attestata e documentata. Si trattava, infatti, delle istituzioni iniziatiche più forti e meglio capillarmente organizzate dell’antichità, non erano di certo prive di risorse e di importanti protezioni politiche e, soprattutto, erano le più determinate a preservare e a salvaguardare il proprio ingente patrimonio sapientale e dottrinale. Dettaglio del Telesterion di Eleusi in una ricostruzione grafica di Victor-Auguste Blavette, 1879
Ma come avvenne, in concreto, questa preservazione della Conoscenza e questa sopravvivenza delle antiche tradizioni misteriche in un’Europa non solo forzatamente cristianizzata, ma anche pervasa dal dominio politico assolutistico del Soglio di Pietro? Nel caso specifico della Tradizione Eleusina, le istituzioni ecclesiali e le relative scuole misteriche, dopo la chiusura, nel 380 d.C., del Santuario Madre di Eleusi da parte dell’ultimo Pritan degli Hierofanti ufficialmente in carica, Nestorio il Grande, si trasferirono di fatto all’interno dell’Accademia Platonica di Atene, fondata proprio in contemporanea con la chiusura del Santuario dal filosofo neoplatonico Plutarco di Atene, che era nipote di Nestorio e dal quale aveva ereditato sia le conoscenze che il titolo sacrale. L’istituzione accademica ateniese rappresentò per gli Eleusini e per le proprie scuole misteriche un porto sicuro fino al tempo di Giustiniano, e quando, per decreto di quest’ultimo, l’Accademia venne soppressa, già erano pronte sicure protezioni e sedi alternative. Un percorso simile venne intrapreso anche dall’Ordine Pitagorico – la cui storia segreta, come abbiamo accennato, ci è narrata da Jean Marie Ragon -, anche se esso si era già da tempo allontanato per motivi politici e dottrinali dall’Eleusinità Madre, non riconoscendo più da alcuni secoli l’autorità superiore di Eleusi e adottando una linea marcatamente “politica”. Con l’ingresso delle istituzioni ecclesiali eleusine in clandestinità, sul finire del IV° secolo d.C., clandestinità che fu molto probabilmente concordata o negoziata con le autorità cristiane in cambio di una formale chiusura del Santuario di Eleusi, fu possibile salvaguardare e mettere in sicurezza non soltanto gli Hierà (gli oggetti sacri dell’Eleusinità, fra i quali vi erano dei veri e propri oggetti “di potere”) e gli ingenti tesori custoditi nelle celle dei Templi, ma anche gli archivi e le biblioteche di quello che era stato per sedici secoli il principale centro religioso ed iniziatico di tutta l’area mediterranea, di quello che non a caso veniva considerato «il témenos dell’umanità». Quando, infatti, non molti anni dopo, nel 396 d.C., i Visigoti di Alarico, su istigazione di alcuni vescovi cristiani, saccheggiarono e distrussero il Santuario di Eleusi, non riuscirono a mettere le mani né sugli Hierà o sul tesoro, né tantomeno sui preziosi documenti segreti che erano intenzionati a carpire per conto dei loro mandanti: tutto era stato già portato via e messo al sicuro, e le orde barbariche si limitarono a distruggere le sacre statue e a incendiare gli ormai vuoti edifici. Similmente avvenne anche per gli altri principali Templi e Santuari dell’Eleusinità, i cui archivi e le cui biblioteche furono in buona parte messi in sicurezza dai Sacerdoti prima che l’odio cristiano si abbattesse inesorabile su tali sacri edifici. Limitandoci al solo Santuario di Eleusi, che era stato ininterrottamente in attività dal 1216 a.C. al 380 d.C., un lasso di tempo quindi veramente notevole, e che aveva alle proprie dipendenze prestigiose scuole iniziatiche e sacerdotali, la mole dei documenti e dei papiri conservati nelle sue biblioteche doveva essere decisamente impressionante, sicuramente non inferiore a quelli della celebre Biblioteca di Alessandria. Non disponiamo purtroppo di una stima precisa, ma sappiamo che vi erano custoditi, oltre a un cospicuo numero di testi sacri e misterici, numerosi capolavori della letteratura antica, oltre a un notevole repertorio di opere storiche, cronache, trattati scientifici e matematici, opere filosofiche e carte geografiche, oltre naturalmente alle minuziose archiviazioni relative a secoli e secoli di attività iniziatica e religiosa. Non abbiamo purtroppo neppure una stima precisa di quanto, fra tale materiale testuale, sia stato messo in salvo nella Scuola Platonica di Atene e di quanto, invece, sia stato invece trasferito in altri luoghi ritenuti più sicuri. Sappiamo soltanto quanto oggi di tale patrimonio si è conservato, grazie alla solerzia e alla dedizione di numerose generazioni di scribi e di archivisti della Scuola Eleusina Madre, giunta e radicatasi in Italia nel XV° secolo e tutt’oggi presente e operante a Firenze e in altre città. Ma gli Eleusini Madre sanno molto bene che i seppur numerosi libri e documenti in loro possesso rappresentano soltanto una minima parte del fondo originario. È infatti attestato da numerose cronache e documentazioni di età rinascimentale e dei secoli successivi che nel corso dei secoli bui del Medio Evo, per ragioni prettamente di sicurezza, molti testi furono affidati anche a ristretti gruppi di famiglie europee (in massima parte famiglie “allargate”, sul modello delle fratrie), discendenti per linea di sangue dalle otto Tribù sacerdotali di Eleusi. E fra queste vi furono diverse di quelle che divennero col tempo note come alcune delle più prestigiose casate nobiliari d’Europa. Famiglie destinate ad avere un ruolo determinante nelle complesse vicende storiche di quel tempo. Ma determinati gruppi di famiglie e casate nobiliari che, in maniera diretta o indiretta, potevano vantare una discendenza dalle otto Tribù Primarie di Eleusi e che dal 380 d.C. in poi hanno avuto il compito di trasmettere, difendere e preservare ad ogni costo (al fianco e parallelamente alle legittime istituzioni ecclesiali eleusine entrate in clandestinità) la Tradizione Misterica Eleusina nella delicata e difficile fase di tale clandestinità, a parte determinate, circoscritte e anche rischiose affermazioni “identitarie”, comunque in parte dissimulate dal simbolismo e in ogni modo mai del tutto palesi, verificatesi in epoca rinascimentale (si pensi ai Medici a Firenze, agli Este a Ferrara, ai Guisa-Lorena in Francia, a Sigismondo Pandolfo Malatesta a Rimini, ai Da Varano a Camerino, a Giorgio Gemisto Pletone, a Piero Della Francesca, a Leon Battista Alberti, etc.), non si sono mai pubblicamente palesati sotto tale veste, ed era del resto impensabile che lo facessero. Essi hanno sempre infatti dovuto guardarsi le spalle e tutelarsi e difendersi su più fronti, sia nei confronti della Chiesa Cattolica che nei confronti di altre realtà iniziatiche avversarie. La perpetuazione e tramandazione della Tradizione Misterica attraverso il Medio Evo ed il Rinascimento non fu comunque sempre un percorso lineare e privo di ostacoli. Sarebbe, del resto, ingenuo ed utopistico il solo pensarlo. Se esso fu, in un certo qual modo, piuttosto organico e diretto nell’ambito dei due principali filoni di trasmissione, quello Eleusino Madre e quello Pitagorico, anche in buona parte nel contesto di essi, ma soprattutto nel contesto di filoni “minori” o da essi derivati, tale percorso assunse spesso le caratteristiche di un immenso mosaico frammentato, le cui tessere non sono state mai, né dagli storici profani (la maggior parte dei quali neanche comprenderebbe di cosa stiamo parlando), né tantomeno dagli esponenti delle singole realtà iniziatiche, ricollocate nella loro corretta visione d’insieme. È attestato, altresì, che molti filoni “minori” (un termine, questo, senz’altro improprio, ma necessario ai fini della comprensione) fino ad oggi sopravvissuti si siano gelosamente chiusi in sé stessi, gelosi custodi dei loro stralci di verità, dei loro frammenti delle colonne del Tempio (mi si passi la metafora latomistica) e delle loro parziali fonti, rifuggendo con ostinazione e determinazione ogni contatto ed ogni confronto con realtà ad essi sorelle. Jan Van Der Straet (detto Giovanni Stradano): Allegoria della Scoperta dell’America, 1588 (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana)
[1] Jacob Burckhardt: Die Kultur der Renaissance in Italien. Druck und Verlag der Schweighauser’schen Verlagsbuchhaltung, Basel 1860. Trad. it.: La civiltà del Rinascimento in Italia. Ed. Sansoni, Firenze 1943. [2] Nicola Bizzi: Camillo Agrippa, la quintessenza del Rinascimento. Ed. Aurora Boreale, Firenze 2019. [3] Julius Evola: Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni Mediterranee, Tramonto dell’ecumene medievale. Le nazioni, p. 375. [4] Nicola Bizzi: Camillo Agrippa, la quintessenza del Rinascimento. Cit. [5] Luca Valentini: Riflessi d’antico: l’Ermetismo rinascimentale e la sacralità dei Numi pagani. Prefazione al saggio di Nicola Bizzi Camillo Agrippa, la quintessenza del Rinascimento, cit. [6] Ibidem. [7] Ibidem. [8] Ibidem. [9] Jean Marie Ragon: Notice historique sur le Pednosphes (Enfants de la Sagesse) et sur la Tabaccologie, dernier voile de la doctrine pytagoricienne. Articolo sulla rivista Monde Maçonnique n. 12 – 1859. [10] Edgar Wind: Misteri pagani nel Rinascimento, Edizioni Adelphi, 2012. [11] Vladimiro Zabugbin: Giulio Pomponio Letto, saggio critico, volume II, Tipografia Italo-Orientale S. Nilo, Grottaferrata 1910. [12] Nicola Bizzi: Da Eleusi a Firenze: la trasmissione di una conoscenza segreta. Vol. I. Ed. Aurora Boreale, Firenze 2017. [13] Arturo Reghini: Sulla Tradizione Occidentale. Ed. Aurora Boreale, Firenze 2018. FONTE: https://www.tenet22.com/anima-mundi-il-fuoco-sacro-del-rinascimento/