Redazione A Sud, di
Giuseppe Montalbano su “Il Corsaro”
Il Transatlantic Trade
and Investment Partnership istituirà la più grande area di libero scambio del
pianeta
Nel generale silenzio dei
grandi media, relegato in fondo alle pagine e ai siti specialistici di economia
internazionale, al riparo da ogni pericolo di dibattito pubblico fra le diverse
sponde dell’atlantico e del pacifico, un ristretto gruppo di negoziatori
governativi e un numero di gran lunga più alto di lobbisti per conto delle più
potenti multinazionali stanno pianificando da almeno quattro anni i due più
mastodontici trattati commerciali internazionali del ventunesimo secolo.
Un enorme programma di
smantellamento delle residue barriere commerciali, giuridiche e politiche tra
Stati Uniti, Europa e dodici paesi delle due sponde del pacifico, funzionale
alla creazione della più grande area di libero scambio del pianeta (comprendendo
economie per circa il 60% del prodotto interno lordo mondiale), sia per
l’estensione geografica che per la profondità capillare con cui il programma di
liberalizzazioni e deregolamentazioni abbatterà tutti gli ostacoli sul suo
cammino: dai diritti del lavoro alla proprietà intellettuale, dai servizi
pubblici fondamentali fino al diritto alla salute. Si tratta del Transatlantic
Trade and Investment Partnership tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, secondo
step del più vicino Transpacific Partnershipche l’amministrazione Obama
intenderebbe concludere prima della fine dell’anno, escludendo di fatto il
Congresso dalle trattative in corso e accelerando i tavoli a porte chiuse con i
Paesi partner (per la precisione: Giappone, Messico, Canada, Australia, Malesia,
Cile, Singapore, Perù, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei) e gli incontri segreti
con gli oltre 600 rappresentanti delle multinazionali. I contenuti e i termini
delle trattative in corso sono di fatto inaccessibili agli organi di
informazione e anche ai parlamenti dei Paesi coinvolti, se non a gran parte
degli stessi governi, è precluso un accesso integrale alle bozze sugli accordi
in ballo, come denunciato da Wikileaks.
Entrambi gli accordi
possono essere letti come fasi differenti di un’unica ambiziosa strategia
statunitense per la riconquista di una nuova egemonia globale ‘diffusa’, contro
l’incubo che il mutato quadro dei rapporti di forza a livello internazionale
possa marginalizzare sempre di più la potenza americana. Da una parte le nuove
potenze emergenti del secondo e terzo mondo, quali il Brasile, India, Sud Africa
e Messico continuano a crescere e sviluppare il proprio mercato interno,
rivelandosi difficilmente controllabili attraverso i vecchi e nuovi forum
internazionali, come il G20, e in alcuni casi rafforzando la costruzione di
nuove aree commerciali regionali per la prima volta sottratte all’influenza
statunitense, come nel caso del MERCOSUR in America Latina a trazione
brasiliana. Dall’altro lato del pacifico l’asse economico e geo-politico tra il
gigante cinese e la Russia si va affermando prepotentemente come epicentro degli
equilibri mediorientali e asiatici (la soluzione diplomatica della vicenda
siriana, come l’accordo sull’arricchimento dell’uranio in Iran lo hanno
dimostrato recentemente) in una graduale scalata al ruolo di leadership
globale.
Nella morsa dei nuovi
candidati all’egemonia internazionale, con il vecchio partner europeo allo
sbando intrappolato nella spirale economica e sociale dell’austerità, lo stanco
e frustrato impero statunitense tira fuori le unghia, archiviando di fatto le
negoziazioni del mai compiuto Doha Development Round (il regime commerciale che
avrebbe dovuto portare a compimento il sistema del WTO avvantaggiando le nazioni
povere del terzo mondo) per lanciare una controffensiva senza precedenti con gli
strumenti e la piena complicità delle più potenti multinazionali economiche e
finanziarie, sulla scorta del programma elaborato per la prima volta
dall’Atlantic Council di Wahington. Se, infatti, tale iniziativa va iscritta in
una strategia diriconquista della scena internazionale da parte dei vecchi
padroni del mondo (l’asse USA-Europa-Giappone), essa da inquadrata più
ampiamente in un disegno di politica economica mondiale che vede, forse per la
prima volta nella storia, il pieno protagonismo politico delle grandi
corporation transnazionali, non più confinate a esercitare un’influenza esterna
sui centri decisionali internazionalie regionali, ma sedute negli stessi tavoli
di negoziazione e trattativa alla pari degli attori nazionali, se non in
posizione privilegiata. I due trattati si profilano così come la prima autentica
costruzione di un’area planetaria di libero mercato costruita a tavolino, per
filo e per segno,da un’élite transazionale che supera i confini tradizionali tra
Stato e privati, tra governi e interessi aziendali, sottraendosi a ogni
controllo democratico.
Dal quadro che finora
abbiamo grazie a Wikileaks e al lavoro di indagine del Corporate Europe
Observatory, lo scarso numero di ‘addetti ai lavori’ da parte dei diversi
governi coinvolti è ampiamente compensato dalle centinaia di lobbisti e manager
del ristretto club di multinazionali dei più diversi settori, ben lieti di poter
dare la loro consulenza tecnica ed esprimere il proprio punto di vista fino ai
dettagli dei diversi articoli che comporranno i trattati. I contenuti dei due
trattati che giorno dopo giorno si vanno delineando portano ben impresso il
marchio degli interessi elitari da cui hanno preso forma. Proveremo qui a dare
un rapido sguardo alle principali questioni in ballo per ogni diverso settore,
spaziando tra il TPP e il TTIP proprio in virtù delle vistose analogie che
emergono fra i due sistemi regolatori. Rinviamo a prossimi contributi sul
Corsaro un approfondimento più dettagliato sulle singole questioni.
Impatto sul mercato del
lavoro
Nonostante una
metodologia improntata ai più ottimistici parametri econometrici, lo stesso
Impact Assessment del TTIP elaborato dalla Commissione europea avverte del
concreto rischio di un pesante shock nel mercato del lavoro europeo in seguito
alle ristrutturazioni dei settori economici dopo l’entrata a regime del trattato
commerciale. Settori come quello dell’allevamento, della produzione di
fertilizzanti, di bioetanolo e di zucchero, segnala la Commissione, potrebbero
realisticamente subire un pesante colpo dai vantaggi competitivi che avrebbe
l’industria statunitense sulla controparte europea, con un relativo impatto
negativo sull’intero sistema industriale dell’UE. Come in ogni accordo economico
internazionale, le parti vengono poste su di un’uguaglianza formale di
condizioni e regole che puntualmente finiscono per avvantaggiare quella
economicamente più forte e competitiva. La libera competizione dell’industria
americana sul mercato europeo, con i suoi standard produttivi e lavorativi,
andrebbe verosimilmente a minare pesantemente diversi settori industriali
europei più deboli e incapaci di reggere il confronto. Come giustamente
segnalato dal rapporto del CEO, tale squilibrio di produttività industriale tra
le parti potrebbe concretamente tradursi in un impoverimento ancora maggiore del
sud Europa, già piegato dalla crisi e dagli effetti recessivi delle politiche
d’austerità, i cui fragili sistemi industriali riceverebbe un ennesimo colpo (A
brave new Transatlantic Partnership, p. 10). Si intuisce facilmente cosa
potrebbe accadere nel mercato del lavoro.
Oltre alla perdita dei
posti di lavoro che tale concorrenza aggressiva da parte degli USA e delle
multinazionali porterebbe in Europa, non bisogna sottovalutare il pericolo di un
abbassamento generalizzato degli standard dei diritti del lavoro, sindacali e
previdenziali che i lavoratori in Europa subirebbe, allineandosi col sistema di
(scarse) tutele, di debolezza dei sindacati e di privatizzazione del settore
previdenziale tipico degli USA. Anche in questo caso gli standard si allineano
verso l’alto per quel che riguarda la possibilità per i privati di far profitto
e crollano verso il basso sul mercato del lavoro. Sempre la Commissione europea,
senza peli sulla lingua, afferma a tal proposito che una delle priorità di un
simile accordo commerciale è ‘ridurre il rischio di diminuire gli investimenti
USA in Europa e la loro fuga in altre parti del mondo’. Se oltre gli USA
consideriamo che i lavoratori in Europa dovranno fare i conti con una
concorrenza che si aprirà ancora di più anche all’Asia, attraverso il
corrispondente accordo del pacifico, l’attacco che si preannuncia sui diritti
del lavoro si preannuncia catastrofico e senza quartiere. I diritti dei
lavoratori sono d’altronde esplicitamente inseriti alla voce delle ‘barriere
non-tariffarie’ da abbattere nel TTIP e nel TPP.
Proprietà
intellettuale.
Le bozze del
TTIP nasconderebbero un ritorno delle spirito e di interi paragrafi dell’ACTA
(Anti-counterfeiting trade agreement), l’accordo multilaterale sulla proprietà
intellettuale fortemente voluto dagli USA con cui il copyright avrebbe acquisito
un potere legale e sanzionatorio enorme a scapito di un libero accesso alla
cultura, concedendo alle multinazionali un potere di fatto illimitato sulla
gestione dei dati personali degli utenti della rete a totale scapito della loro
privacy. L’ACTA è stato fermato dal Parlamento europeo nel 2012 anche seguito
delle gradi proteste che avevano attraversato il continente, ma rischia adesso
risorgere dalle ceneri nei dettagli dell’accordo trans-atlantico. Insieme alla
perdita della privacy e dei ‘diritti digitali’ per tutti gli utenti di internet,
tale accordo darebbe mano libera ai colossi multinazionali a fare del web un
sistema di monitoraggio e sorveglianza: una trappola per la libertà di
informazione e di fruizione della comunicazione via web. Infatti, tra i suoi
capitoli più controversi, l’ACTA prevedeva la facoltà per gli Internet Service
Providers di setacciare la rete a caccia non solo di violatori del copyright, ma
anche di ‘sospetti’ e potenziali complici, consegnandoli alle autorità: un
potere poliziesco e punitivo che scardinerebbe il potenziale del web come luogo
della libertà di espressione e della cultura.
Ma l’ulteriore
fortificazione del regime della proprietà intellettuale avrebbe anche
conseguenze ben più devastanti. In primo luogo ne beneficerebbero le grandi
industrie farmaceutiche rispetto ai farmaci generici, vedendosi assicurate un
regime di monopolio legalizzato contro una competizione che finora ha regolato
verso il basso i prezzi, tutto a spese dei sistemi sanitari nazionali, delle
tasche dei contribuenti, ma soprattutto della loro salute.
Libertà degli
investimenti
Tra i capitoli
più temuti del TPP e del TTIP, quello sugli strumenti di tutela legale della
libertà di investimenti per i privati minaccia di trasformare davvero ogni forma
di ‘bene comune’, dai servizi pubblici alle cure mediche, in merce da scambiare
sul mercato per il profitto delle grandi corporations. Secondo le indiscrezioni
fornite dal CEO,entrambi i trattati contemplerebbero la piena introduzione della
libera concorrenza quale principio cui ogni servizio pubblico debba sottostare,
considerando anche i ‘potenziali rischi’ e gli ‘investimenti mancati’ provocati
dall’ingerenza dello Stato. Come già accaduto nel novembre 2012 in Canada, un
casa farmaceutica potrebbe procedere legalmente contro uno Stato che limitasse
la libertà di investimenti garantendo degli standard sanitari e medici a livello
nazionale. Ciò avverrebbe principalmente attraverso un rafforzamento della
normativa a favore della libertà di impresa e di un nuovo sistema di risoluzione
delle contese tra stato e privati che permetterebbe alle multinazionali di
denunciare i governi che non rispettassero ‘la libertà e protezione degli
investimenti’ con lo strumento dell’arbitratointernazionale tra i firmatari dei
trattati commerciali, sottraendosi ai tribunali nazionali e sovranazionali (come
la Corte europea). I due trattati costituirebbero in questo modo una nuova sfera
legale e giudiziaria a uso privato cui i singoli governi si troverebbero a
cedere altri pezzi della propria sovranità, insieme alla tutela dei diritti
fondamentali dei suoi cittadini. Possiamo soltanto immaginare come ciò possa
tradursi non solo per l’Europa (e il sud Europa), ma anche per tutti quei
contraenti deboli dell’accordo trans-pacifico (come il Cile e il Perù) che di
fatto finirebbero per essere legalmenteincatenati ai ricatti delle grandi
compagnie e dei loro investimenti predatori.
Ambiente e agricoltura
Nella logica
degli standard al ribasso tra Stati Uniti e resto del mondo finirebbero in pieno
i regimi di tutela ambientale, climatica e agricola e, se consideriamo le scarse
tutele americane in tema di emissioni inquinanti e uso di tecnologie e prodotti
‘invasivi’ nel campo agro-alimentare, vi sono serie ragioni per temere uno dei
colpi più violenti alla salvaguardia dell’ambiente degli ultimi decenni.
L’armonizzazione degli standard qualitativi tra le due sponde dell’atlantico
potrebbe portare in Europa, come denunciato da diverse voci, all’abbandono del
‘principio precauzionale’ che finora ha tenuto alla larga gran parte degli OGM,
dei capi bovini dopati con ormoni e dei volatili sterilizzati chimicamente,
tipici del made in USA. Lo sviluppo delle bio-tecnologie alimentari, in primo
luogo con la libera commercializzazione degli OGM, è proprio l’obiettivo delle
campagne milionarie e decennali condotte da giganti multinazionali come la
Monsanto, la DuPont e la Dow Chemical. Lo stesso vale per gli standard agricoli
sull’uso dei pesticidi e la tutela del paesaggio che potrebbero realisticamente
pendere dal lato del più ‘liberale’ regime americano, tutto a svantaggio di un
più elevato livello di sicurezza della qualità del cibo, della produzione in
biologico, e della tutela dell’agricoltura europea costretta a subire, in
particolare nell’area mediterranea, il durissimo colpo di un’impari e aggressiva
concorrenza statunitense.
Banche e società
finanziarie a piede libero
I padroni della
finanza tra Stati Uniti ed Europa starebbero approfittando di questo ambizioso
Round di negoziazioni per ottenere quello che, sotto gli occhi troppo attenti
dell’opinione pubblica, difficilmente riuscirebbero a vedersi garantito dai
governi nazionali in un momento di crisi simile: cioè un’ulteriore
deregolamentazione del settore finanziario a livello globale. Attraverso il
capitolo sulla tutela degli investimenti, le grandi società finanziarie
potrebbero garantirsi ulteriori strumenti legali per il ‘risarcimento delle
perdite’ e la tutela contro i rischi derivanti dal libero scambio di pacchetti
di titoli più o meno tossici. Per quanto a parole l’intento dichiarato sia
quello di una ‘regolamentazione prudente’ dei flussi finanziari, vi sono buone
ragioni per sospettare, come fa il rapporto del CEO (pp. 22-23), che
l’opposizione delle banche e dei governi inglese e tedesco, insieme ai colossi
americani, saranno in fine determinanti nel ridurre al solo livello nazionale i
regimi di controllo, favorendo un’ulteriore apertura dei mercati finanziari a
livello atlantico.
Durante le ultime sedute
della trattativa del TPP tenutesi a Salt Lake City, nello Utah, nelle prime due
settimane di novembre, l’accelerazione da parte dell’amministrazione Obama si è
contrata con l’opposizione di alcuni degli Stati coinvolti nell’accordo, così
come rivelato da Wikileaks. Nuova Zelanda, Cile e Australia sarebbero in
disaccordo su diversi punti della bozza di trattato, specialmente per quel che
riguarda i diritti di proprietà intellettuale e il capitolo sulla tutela degli
investimenti. Si apre così uno spiraglio per intaccare i piani statunitensi e
privati per concludere in gran fretta e a porte chiuso la prima fase di un
accordo di portata planetaria.
Il Corsaro si unisce ai
movimenti che si stanno battendo per spezzare questo gigantesco cappio sopra le
teste di milioni e milioni di cittadini in tutto il mondo. Il tempo è poco e
finora il velo di segretezza e indifferenza da parte dell’opinione pubblica ha
fatto da padrone su una questione così vitale per il futuro di tutti noi.
Proviamo a rompere questo velo e dare una consapevolezza della reale posta in
gioco di questi trattati: il nostro futuro e la possibilità stessa di poterlo
cambiare un giorno.
Articolo pubblicato su Il
Corsaro, titolo originale: “In gran silenzio arriva il TTIP: lobbisti e paesi
del pacifico per l’accordo economico che cambierà il mondo”
Visto su: http://www.disinformazione.it/TTIP.htm